Parigi, Lione, poi ancora Parigi e infine Nizza. La Francia sembra preda della sua più grande ossessione fin dai tempi della guerra d’Algeria, lo spettro del “nemico interno”. È più che lecito chiedersi però chi ha creato questi fantasmi, chi ha reso questo spettro una realtà in un paese che dell'integrazione aveva fatto un vanto, l’
intégration répubblicane.
La Francia è forse il paese dell’Europa contemporanea che da più tempo ha dovuto affrontare le sfide connesse al fenomeno dell'immigrazione. Le tensioni sociali della guerra d’Algeria erano già sfociate cinquant’anni fa in una stagione di repressioni e attacchi terroristici, che avevano creato tensioni e pregiudizi difficili da scardinare.
L’integrazione alla francese nasce con Mitterrand proprio per mettere fine a quelle tensioni, soprattutto sociali, accentuate nei decenni successivi alla fine della guerra e si inseriva alla perfezione in quel mito di riconciliazione nazionale che ha provato a rappresentare, con successi alterni, l’era Mitterrand. Nel modello ideale l’integrazione non è una questione culturale, ma piuttosto un dilemma sociale, che dovrebbe risolversi nella riqualificazione delle periferie e nella promozione di nuove élite fra le giovani generazioni uscite dall'immigrazione; nella realtà tuttavia la prima
cohabitation e poi la fine dell’era Mitterrand portano solo ad un abbozzo del grande progetto integrazionista.
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