1. Il test di medicina non l’ho capito
    quello che manca al numero chiuso per poterlo accettare

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    By Marco Ridolfi il 5 Oct. 2016
     
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    Io non ho capito.
    Non ho capito cosa ci sia di normale in un concorso per frequentare l’università.
    Non ho capito cosa ci sia di naturale nel dramma di migliaia di ragazze e ragazzi esclusi e cosa di ordinario in studenti che frequentano un corso di laurea senza interesse, per poi lasciare.
    Non ho capito la legittimità di una soluzione così importante come il test d’ingresso.

    Se il problema fosse che né servono né possiamo garantire un posto di lavoro a tanti medici, i sostenitori del numero chiuso dovrebbero chiarirmi come la questione, posta in questi termini, riguardi (perché deve riguardare) non solo il numero ma anche la qualità dei medici. Se il problema fosse formare professionisti capaci – perché viene operata una selezione e garantita una didattica migliore –, dovrebbero dirmi perché si tiene poco conto di altri fattori rilevanti a livello qualitativo. Dovrebbero cioè chiarirmi perché non ci si preoccupa delle età delle matricole; dovrebbero spiegarmi su quale calcolo si può accettare il rischio, che è certezza, di escludere ottimi medici o di ritardare la loro carriera.

    Se il problema fosse
    l’inadeguatezza delle strutture per un numero così alto di iscritti; ossia, se il problema fosse solamente materiale e non concettuale; ossia, se la semplice realtà ci imponesse questa soluzione, dovrebbero spiegarmi perché non selezioneremmo mai bambini di sei anni quando il loro numero eccede la capienza delle scuole. Se il problema fosse – e non è – lo sbarramento andrebbe ancora giustificato. A maggior ragione, quindi, devono giustificarmi questo test.

    Nessuno ha verificato
    che la soluzione attuale sia un deterrente e non un incentivo alle iscrizioni; che una diversa, che tenga conto non solo di nozioni o capacità di ragionamento logico-matematico, aumenterebbe le irregolarità ed i ricorsi. Che la possibilità a tutti di provare (e soprattutto di scontrarsi con la durezza e la difficoltà del percorso) non ridimensioni, col tempo, le matricole. Nessuno mi ha ancora dimostrato (forse perché non è possibile) che la migliore oggettività sia quella di un test a crocette, e che ogni altra soluzione senza l’uso di algoritmi per la correzione sia meno obiettiva.

    Poiché non ho capito ma continuo a ragionare, mi pare plausibile che questi test si fondino su un presupposto concettuale. E quest’idea, a me sembra, è quella che considera i grandi numeri come un problema e ne vede solo il lato negativo. Ciò che mi pare, cioè, è che non esiste una vera, lampante, incontrovertibile materia di fatto che fondi la necessità del numero chiuso e la soluzione dei test. L’unico fondamento è concettuale ed assunto senza discussione. Ed è questa discussione che si dovrebbe fare.

    Io non propongo, qui ed ora, un modello alla francese. Io non propongo un esame alternativo. Io bensì invito a riflettere su tutte le alternative, a carte scoperte. A spiegare su quale base ponderiamo i vantaggi e gli svantaggi di una soluzione. A mettere in chiaro i fondamenti concettuali, valoriali, metodologici, sui quali si basa ogni scelta e a ragionare su quelli, se necessario. Io invito a discutere lealmente e non utilizzare argomenti di comodo.

    Ma poiché a chi sostiene i test la discussione non conviene, l’invito cadrà nel vuoto. Sarà più comodo aspettare e provare, se riescono, ad estendere il numero chiuso un po’ ovunque. E converrà loro farlo cautamente, in modo da sembrare quasi normale. Allora, quando di questa situazione nessuno parlerà più; allora, quando sarà naturale pensare all’università come luogo aperto a tutti, se superato un concorso, la discussione non avrà più senso. Questo sì che l’ho capito.

    Marco Ridolfi
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