Dopo mesi di accesi dibattiti e scambi d’accuse, il Partito Democratico pare aver trovato il proprio candidato:
Hillary Clinton ha ottenuto l’ultima (scontata) vittoria nel cuore dell’establishment statunitense, Washington DC, non prima di aver raggiunto la quota
2.383 delegati necessari all’investitura ufficiale che si avrà con la convention democratica di luglio. Una nomination che alcuni mesi pareva certa, ma che ha trovato nel senatore del Vermont
Bernie Sanders un avversario capace di mettere a repentaglio una candidatura che aveva ricevuto il sostegno del presidente uscente Obama e della quasi totalità del partito.
Lo scontro e il confronto sono elementi insiti nel carattere di qualsiasi elezione primaria, tuttavia quella che ha visto sfidarsi la Clinton e Sanders è densa di implicazioni inedite nella tradizione politica statunitense che vale la pena comprendere (volendo estendere il nostro sguardo anche al campo repubblicano, possiamo ben affermare che queste elezioni presidenziali sono tra le più singolari degli ultimi anni).
Prima di tutto Bernie Sanders si definisce un
socialista democratico, fatto più unico che raro negli Stati Uniti che hanno conosciuto il maccartismo e hanno ancora viva la memoria della guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Il fantasma del socialismo non pare tuttavia spaventare molti americani ormai: Sanders, che guarda a modelli come il New Deal di Roosevelt e le socialdemocrazie scandinave, ha fatto breccia soprattutto tra i
giovani, le
donne e le
classi operaie bianche, ottenendo fino ad oggi quasi 13 milioni di voti, 4 milioni in meno rispetto a quelli della Clinton. Un
risultato impensabile fino ad un anno fa, per un candidato socialista, senatore di uno stato che conta meno abitanti delle province di Pisa e Grosseto messe insieme, sconosciuto all’elettorato e che non può giocarsi in alcun modo la carta del “primo presidente…” su cui la propaganda democratica ha tanto insistito negli ultimi anni, da Obama, “primo presidente nero”, alla Clinton, “prima presidente donna”.
L’inaspettata popolarità di Sanders ha costretto la Clinton, da sempre una liberal più o meno progressista a seconda dello spirito dei tempi, a spostare a sinistra i toni della propria campagna, contribuendo alla sempre più marcata polarizzazione di queste elezioni presidenziali.
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