"rivista a-periodica" scritta e diretta da studenti universitari.

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Terrorismo in sigle
di Rachele Pellegrini

Al-Qaeda, Daesh, Aqi, Isi, Isis, Isil, e Is. Una realtà monolitica o eterogenea? Che differenza c'è?

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Il test di medicina non l'ho capito
di Marco Ridolfi

quello che manca al numero chiuso per poterlo accettare

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L’OTTICA FILOSOFICA
Arte; reale finzione
o finzione reale?


Risposta alla denuncia di Platone

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RITRATTI
Semplicemente
"Il Boss"

Springsteen: il perdente fortunato
che ha conquistato l'America e il mondo

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PER ABITARE LE PAROLE
Noi estranei a noi stessi
"L'étranger" di Albert Camus
e la distanza dall'uomo moderno

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L’OTTICA FILOSOFICA
Fra Tarantino e Seneca
La coreografia della truculenza

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  1. Eichmann o l'inconsistenza del male
    L’agghiacciante normalità del male ci ricorda che non è lontano da noi. E che forse non ha spessore.

    Il 31 maggio del 1962, Adolf Eichmann venne impiccato. Il coordinatore della “soluzione finale” del Terzo Reich scontava la pena decisa dopo il processo in Israele. Eichmann non era un personaggio importante nelle decisioni politiche della Germania Nazista, non aveva ruoli di spicco e mai aveva superato il grado di Tenente colonnello . Tuttavia si era impegnato perché il genocidio degli Ebrei avvenisse nella maniera più efficiente. Si è sempre sottolineata la sua normalità, il suo essere come gli altri, non un pazzo, non un “malvagio” in senso tradizionale. La sua linea di difesa era quella del semplice burocrate che aveva svolto il suo lavoro. Dimostrazione vivente di come la follia o le “motivazioni cattive” non siano il giusto modo di descrivere un operato simile. Significherebbe infatti confinare il nazionalsocialismo in un angolo oscuro della storia, eliminarlo come un corpo estraneo. Dimenticare la suggestiva immagine di Cuore di tenebra: l’uomo che, volendo rischiarare il buio con la propria luce, non scopre che un’oscurità ancor più nera. Perché il cuore di tenebra non è altro da noi, ma è in noi.

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    Last Post by Marco Ridolfi il 31 May 2016
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  2. Dialogo tra un Monatto e un Appestato
    Ossia Ebola ai tempi della Peste

    Nasciamo soli, viviamo soli, moriamo soli
    Orson Welles


    Si racconta in diverse cronache italiane del 1630, l'assidua attenzione con cui i medici istruivano i propri studenti (sotto ordine statale) riguardo alla cura e alla prevenzione della peste, ormai dilagante. Risale a questo periodo il curioso episodio di un borgo imprecisato, dove un filosofo, improvvisatosi medico, non fornì ai propri studenti dispense atte ad istruirli sulla cura della malattia. Il luminare preferì infatti consegnare un dialogo che egli stesso aveva trascritto, assistendo ad un colloquio fra un monatto ed un povero appestato morente. La voce giunse alle autorità locali che, indignate dalla negligenza di questo apprendistato, fecero incarcerare il dotto, condannato a morte poco dopo, per aver leso gravemente alla formazione dei suoi allievi, compromettendone l'efficienza. Riportiamo adesso proprio quel dialogo che abbiamo ritrovato come allegato al processo di condanna:

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    Last Post by Tommaso Ghezzani il 23 April 2016
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