Il
referendum costituzionale del 2016, accantonate le polemiche per la mancata candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024, è tornato al centro della discussione politica. Tra appelli a votare SI o NO, promesse elettorali (come se fossimo prossimi alle elezioni politiche e non ad un referendum) e nette presi di posizione, il rischio è quello di perdere di vista quale sia il vero fulcro della discussione: il referendum e la riforma costituzionale che dovrà essere approvata o respinta. Per quanto riguarda il referendum in sé, esso sta cominciando a prendere forma solo in questi giorni: è stata scelta la data, il
4 dicembre 2016 ed è stata presentata la scheda sulla quale gli elettori dovranno apporre il fatidico tratto di matita. Ed è subito scoppiata la polemica. Il quesito presente sulla scheda recita infatti:
CITAZIONE
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente "disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione", approvato dal parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?"
Il contenuto, ovviamente, non è illegittimo: sono infatti indicati il
titolo della legge costituzionale da sottoporre a referendum e gli estremi della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. In molti, però, vi hanno letto una sorta di
spot a favore del SI, essendo elencati solo alcuni aspetti della riforma, quelli positivi e maggiormente in grado di fare leva sull’opinione pubblica. La differenza tra questo quesito e quelli dei precedenti referendum costituzionali (2001 e 2006), certamente meno propagandistici e più “oscuri”, sta nel titolo della legge costituzionale. Dunque, il momento migliore per sollevare dubbi era la
discussione parlamentare della riforma, conclusasi nell’aprile 2016, durante la quale il titolo della legge poteva essere emendato. Cosa che non risulta che sia avvenuta. Dunque per non cadere nei tranelli di un quesito che a molti appare capzioso, è fondamentale approfondire quali sono i principali ambiti d’intervento della riforma, analizzando eventuali ricadute positive e negative.
Innanzitutto, non si può negare che si tratti del più grande intervento di modifica della Costituzione mai attuato nell’età repubblicana. Questo lo si può apprezzare sia dal punto di vista quantitativo, in quanto gli articoli toccati sono 47 su 139, sia da quello qualitativo, poiché l’assetto istituzionale italiano uscirebbe profondamente modificato in caso di un responso affermativo delle urne. Gli ambiti d’intervento della riforma, che verranno successivamente approfonditi, sono:
•
Passaggio dal bicameralismo perfetto al bicameralismo differenziato (con modifiche alla composizione e alle modalità di elezione del Senato)
•
Procedimenti di formazione delle leggi
•
Referendum e iniziativa legislativa popolare•
Parlamento in seduta comune ed elezione del Presidente della Repubblica•
Abolizione del CNEL•
Modifiche al Titolo V della Costituzione (Le Regioni, le Province, i Comuni)
Passaggio dal bicameralismo perfetto al bicameralismo differenziatoSi tratta di uno dei cavalli di battaglia della riforma. Questa, lasciata la
Camera dei deputati intatta nella composizione e nelle funzioni, modifica profondamente il
Senato. L’articolo 55, il primo della Parte II, quella che sarà oggetto di riforma, manterrà intatto il primo comma, che recita:
CITAZIONE
“Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.” (Art.55 Cost.1° comma)
A questo si aggiungeranno 4 nuovi commi, con funzione esplicativa delle funzioni del nuovo Senato. Quest’organo muterà, innanzitutto, nella sua
composizione. Quella attuale prevede (ex art. 57-58-59 Cost.):
•
315 senatori eletti su base regionale (di cui 6 nella Circoscrizione Estero)
•
5 senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica
• tutti gli
ex Presidenti della Repubblica (senatori a vita di diritto)
La nuova composizione prevede:
•
“Novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica” (Nuovo art.57 Cost.)
La prima conseguenza del nuovo testo è
l’abolizione dell’elezione diretta del Senato, a favore di
un’elezione di secondo grado (con metodo proporzionale), da tenersi all’interno dei Consigli Regionali. Il numero dei senatori elettivi verrebbe ridotto a
novantacinque, assegnati a ciascuna regione in maniera proporzionale alla sua popolazione; ogni Consiglio dovrà eleggere senatore un sindaco, mentre gli altri eletti saranno consiglieri regionali. Il limite di età per essere eletti al Senato (attualmente è 40 anni) verrebbe eliminato.
Modificata risulta anche la
durata dell’organo: esso non subirebbe più alcun rinnovo totale, come avviene adesso in occasione delle elezioni politiche ma
CITAZIONE
“La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.” (Nuovo art.57 comma 5)
Come possa avvenire questa
conformità è al momento oscuro: nel successivo comma vi è infatti il richiamo ad una futura legge statale. Un altro aspetto della nuova composizione del Senato riguarda i c.d.
senatori a vita, carica che verrebbe riservata solamente agli ex Presidenti della Repubblica. Gli attuali senatori a vita, “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, continuerebbero ad essere nominati dal Presidente della Repubblica ma rimarrebbero in carica per
sette anni, senza possibilità di essere nuovamente nominati.
Questa nuova composizione non sarà certamente priva di effetti sulle
funzioni e sull’
organizzazione della nuova Camera. Un primo problema, che può essere notato anche dai più sprovveduti, è quello del c.d.
doppio incarico: cioè, i nuovi senatori dovranno adempiere sia alle funzioni di sindaco o consigliere regionale (condizione necessaria per essere eletti), sia a quelle di senatore. La diretta conseguenza è la necessità di una
diversa organizzazione dei lavori parlamentari, per i quali il rimando è obbligatoriamente da farsi ai singoli regolamenti parlamentari. Un rimando simile riguarda l’elezione delle cariche (Presidente del Senato, Ufficio di Presidenza…) interne al Senato, per il quale potranno essere individuati dei profili di incompatibilità con altri ruoli (nuovo art. 63). Un aspetto che merita certamente di essere approfondito è quello relativo all’
indennità di carica. Se si vanno a considerare le ragioni proposte a favore del SI, tra queste spicca
il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni. Questo contenimento deriverebbe in buona parte dalla modifica dell’art. 69, che, dall’attuale testo
CITAZIONE
“I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge.” (art. 69)
diventerebbe
CITAZIONE
“I membri della Camera dei deputati ricevono una indennità stabilita dalla legge.” (nuovo art.69)
escludendo questa possibilità per i membri del Senato, che riceveranno solamente l’indennità a loro spettante in forza del loro mandato di sindaci o consiglieri regionali.
L’altro ramo del Parlamento, la Camera dei Deputati, viene sostanzialmente lasciata immutata dalla riforma, a dispetto di coloro che auspicavano una riduzione anche nel numero dei deputati (attualmente 630). Le uniche modifiche che la riguardano sono contenute nel nuovo testo dell’art. 64, che modifica alcuni aspetti del funzionamento interno.
CITAZIONE
“I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari. Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni.” (Nuovo art.64 comma 2)
Oltre all’introduzione di queste tutele concesse alle opposizioni parlamentari, si deve notare l’aggiunta di un sesto comma, che recita:
CITAZIONE
“I membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell'Assemblea e ai lavori delle Commissioni.” (Nuovo art.64 comma 6)
Questa disposizione, come è possibile immaginare, ha destato delle perplessità. Se queste perplessità sono in parte scusabili nella previsione del nuovo Senato, composto da soggetti che ricoprono un altro pubblico incarico, non lo sono per quanto riguarda i deputati, per i quali la partecipazione ai lavori parlamentari dovrebbe essere dettata da un
senso del dovere e di responsabilità verso gli elettori e non da una previsione costituzionale.
Un'altra modifica rilevante al testo costituzionale riguarda le
funzioni del nuovo Senato. Infatti, il passaggio da un bicameralismo perfetto ad uno differenziato, non è dettato da una diversa legittimazione delle due camere, ma dalle diverse funzioni che esse andranno a ricoprire. Il Senato verrà infatti privato di una delle funzioni fondamentali, quella di controllo nei confronti dell’esecutivo. L’istituto della
fiducia, che in una forma di governo parlamentare come la nostra è la base sulla quale si regge un esecutivo, diventerebbe appannaggio della
sola Camera dei Deputati. Tralasciando per il momento il ruolo che la riforma attribuisce al Senato nel procedimento legislativo, si deve tornare all’articolo 55, il primo che abbiamo preso in considerazione. Nel suo testo riformato, esso conterrà infatti le funzioni riservate alle singole camere, con un notevole “
appesantimento” del testo costituzionale, prima caratterizzato da una certa snellezza.
CITAZIONE
“Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l'attuazione delle leggi dello Stato.” (Nuovo art.55 comma 4)
Molte di queste funzioni, perlopiù di raccordo e di valutazione, dovranno poi essere specificate in
successivi interventi normativi, onde evitare un totale svuotamento di poteri del nuovo organo.
Nuovi procedimenti legislativiUna conseguenza diretta dell’abolizione del bicameralismo perfetto riguarda la
riforma del procedimento che porta alla
formazione delle leggi. Come appena visto nel testo del nuovo art.55 il Senato “
concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione”. Queste modalità sono disciplinate negli articoli 70-73 del testo costituzionale da approvare. La prima impressione che può legittimamente emergere è quella di una
semplificazione: come per il rapporto fiduciario con il Governo, sarà la sola Camera ad avere un impatto forte sul procedimento legislativo, che ne guadagnerà in rapidità ed efficienza. Tralasciando al momento l’istanza di condivisione del contenuto delle leggi che spinse i padri costituenti verso il bicameralismo perfetto, ci si può limitare ad osservare che
la questione non è così semplice come viene proposta. In seguito alla riforma, infatti, vi saranno
diversi procedimenti legislativi, ognuno con i suoi metodi e le sue formalità da adempiere. I diversi procedimenti sono:
•
Bicamerale paritario: procedimento identico a quello attuale, nel quale ogni legge deve essere approvata da
entrambe le Camere. Ogni volta che il testo viene emendato, esso deve essere re-inviato all’altra camera per una nuova votazione. Le materie che seguirebbero questo procedimento sono
elencate nell’art.70, uno di quelli che risulta maggiormente “appesantito” dalla riforma.
•
Monocamerale con intervento eventuale del Senato: procedimento nel quale l’approvazione del testo di legge è di competenza della Camera dei Deputati. Ma
il Senato “
entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva” (nuovo art.70 comma 2). Si tratta di un intervento eventuale del Senato, che lascia alla Camera l’ultima parola sul testo di legge, potendo essa votare contro le modifiche proposte dal Senato. Questo procedimento diventa il
procedimento standard, valido per tutte le leggi non presenti negli altri elenchi.
•
Monocamerale con intervento del Senato “rafforzato”: si tratta di una variazione del precedente. In questo procedimento le
proposte del Senato devono essere approvate a
maggioranza assoluta dei suoi membri, ma queste possono essere respinte dalla Camera
“pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.” Come un osservatore attento può notare, l’approvazione di una legge elettorale maggioritaria come
l’Italicum, che consegna la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera al partito vincitore delle elezioni politiche, rende questo profilo proceduralmente uguale al precedente. Le leggi indicate per questo procedimento sono quelle che riguardano la c.d. “
clausola di salvaguardia” di cui parleremo in riferimento alle modifiche del Titolo V della Costituzione
•
Procedimento specifico per le leggi di bilancio e rendiconto•
Procedimento “a data certa”: si tratta di un ulteriore elemento di
rafforzamento della funzione legislativa del Governo, che potrà richiedere un procedimento più rapido per l’approvazione di quelle leggi indicate come “monocamerali”. Secondo il 7° comma del nuovo art.72,
CITAZIONE
“il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione.”
Un’altra modifica al procedimento legislativo riguarda le
leggi elettorali e deriva probabilmente dall’infelice esito della legge elettorale n. 270 /2005 (il c.d. Porcellum), bocciato dalla Corte Costituzionale per l’incompatibilità di diversi profili (premio di maggioranza senza soglia minima, liste bloccate) con i principi costituzionali.
L’art.73 comma 2 prevede la possibilità di sottoporre le leggi elettorali,
prima della loro promulgazione, al giudizio della
Corte Costituzionale, affinché si pronunci sulla loro legittimità. Il ricorso deve essere presentato da un quarto dei deputati o da un terzo dei senatori e, in caso di giudizio di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata.
I referendum e l’iniziativa legislativa popolare
La riforma andrebbe anche a toccare alcuni aspetti dei procedimenti legislativi, nei quali vi è un diretto coinvolgimento dell’elettorato. Innanzitutto, viene riformata la disciplina dei
referendum, in primis di quello
abrogativo (finora l’unico previsto in Costituzione). In particolare, le modifiche riguardano il
quorum necessario per la validità della consultazione (che è stato al centro di polemiche in occasione del recente referendum sulle trivelle, dove il numero dei votanti è rimasto ben lontano dal quorum): se la proposta di referendum è stata presentata e sottoscritta dal almeno
500.000 elettori, il
quorum resta
invariato (50 % +1 degli aventi diritto); se è stata presentata e sottoscritta da almeno
800.000 elettori, il
quorum deve essere
calcolato in relazione al
numero dei votanti delle ultime elezioni della Camera dei Deputati. Questa previsione permetterebbe di abbassare notevolmente il quorum: per esempio, la percentuale di votanti alle ultime elezioni politiche è stata del 75 %; in tale ipotesi il quorum scenderebbe a
meno del 38 % dell’elettorato.Accanto a questo referendum, ne vengono previsti di
nuovi: si tratta di
CITAZIONE
“referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali.” (Nuovo art.71 comma 4).
Le modalità di svolgimento di questi referendum dovranno essere disciplinate in un futura legge.
Questo maggiore spazio concesso all’elettorato viene “controbilanciato” dalla nuova disciplina delle
iniziative legislative popolari, regolate sempre all’art.71: il numero di firme necessario per presentare un disegno di legge alle Camere viene innalzato da 50.000 a
150.000.Il Parlamento in seduta comune e l’elezione del Presidente della Repubblica
Alcune conseguenze della modifica della composizione del Senato riguardano il
Parlamento in seduta comune (riunione straordinaria in cui i membri di entrambe le Camere si riuniscono insieme). Esso continuerà a riunirsi
nei soli casi stabiliti dalla Costituzione (art.55 comma 2). La sua composizione risulterebbe però variata in caso di passaggio da 315 senatori a soli 95 a cui vanno aggiunti i senatori a vita (o in carica per sette anni). Il caso più noto in cui Parlamento si riunisce in seduta comune è
l’elezione del Presidente della Repubblica, anch’essa investita di una nuova disciplina; la prima notazione che è necessario fare riguarda l’abrogazione dellart.83 comma 2, che prevede la partecipazione dei delegati regionali all’elezione del Capo dello Stato: dunque alla sua elezione parteciperebbero
solo i membri delle due Camere. Inoltre, la netta diminuzione del numero dei senatori, unita ad una Camera con un partito a maggioranza assoluta (questo prevede l’attuale legge elettorale) renderebbero le attuali maggioranze richieste per l’elezione (2/3 per i primi tre scrutini e la maggioranza assoluta per i successivi) assolutamente
insufficienti a garantire l’elezione di una figura che goda di ampio consenso anche tra le minoranze. Per evitare dunque che il Capo dello Stato diventi un appannaggio del solo partito di Governo alla Camera, sono state previste
nuove maggioranze: 2/3 dell’assemblea per i primi tre scrutini; 3/5 dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio; 3/5 dei votanti per i successivi scrutini.
Abolizione del CNEL
Uno dei punti meno dibattuti della riforma e sul quale c’è stato un sostanziale accordo tra i sostenitori del SI e del NO, riguarda
l’abrogazione in toto dell’art.99, riguardante il
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Si tratta di un organo rappresentativo delle varie categorie produttive, creato con l’intento di fornire
consulenza economica e sociale al Governo. Nonostante varie leggi abbiano cercato di attribuirgli funzioni più precise, è sempre rimasto ai margini della vita politica. Una volta cancellato dal testo costituzionale, verrà probabilmente redatta un’apposita legge che lo sopprima definitivamente (cosa che la riforma costituzionale non può fare).
Modifiche al Titolo V della Costituzione (Le Regioni, le Province, i Comuni)
Le prime novità della riforma riguardanti il titolo V, quello che disciplina gli enti locali, sono contenute nell’art. 114, che vedrebbe la
definitiva scomparsa delle Province dal panorama degli enti italiani. Questi organi sono già stati
ridimensionati dalla legge Delrio del 2014 e sono stati trasformati in “
enti di area vasta”, caratterizzati da un Presidente della Provincia e da una Consiglio Provinciale non eletto direttamente dai cittadini, ma scelti all’interno dei Consigli Comunali che ne costituiscono il territorio. Con questa riforma, esse perderebbero dignità costituzionale e potrebbero essere definitivamente soppresse.
Un ultimo aspetto sul quale la riforma interviene pesantemente riguarda il riparto delle
competenze legislative tra Stato e Regioni. Vengono cioè riformati gli elenchi delle materie che possono essere disciplinate solo dallo Stato o che possono essere normate anche a livello regionale. Il cuore di questa modifica è l’art.117. Il vecchio testo prevedeva tre elenchi:
•
Materie di potestà esclusiva dello Stato (materie che solo una legge dello Stato poteva regolare)
•
Materie di competenza regionale (materie interamente delegate alle regioni)
•
Materie di competenza concorrente (materie che potevano essere oggetto sia di legge statale sia di legge regionale). Quest’ultimo elenco, come immaginabile, aveva creato notevoli difficoltà nella prassi legislativa ed era stato la causa del c.d. “
contenzioso Stato-Regioni”, caratterizzato da numerosi
conflitti di attribuzione sulla quale era stata chiamata ad intervenire la Corte Costituzionale.
La riforma costituzionale andrebbe ad
eliminare proprio l’elenco della
competenza concorrente, nella previsione di una semplificazione dei rapporti tra governo centrale e governi regionali. Rimangono così gli elenchi di materie di competenza esclusiva dello Stato e quello di competenza esclusiva delle regioni. Il primo viene significativamente aumentato, evidenziando una scelta di
ridimensionamento del ruolo regionale che si scontra con la previsione di una Camera rappresentativa degli enti locali (il nuovo Senato). Le materie di competenza esclusiva delle regioni vengono esplicitamente elencate nel comma 3 del nuovo art. 117, alla fine del quale si trova anche la dicitura
“nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato”, clausola residuale retaggio del vecchio testo, che poteva essere anch’essa abolita di fronte ad una regolamentazione così stringente in materia.
Merita infine di essere citata l’introduzione della c.d. “
clausola di salvaguardia” o “di supremazia”. Questa concede al Governo la
possibilità di intervenire in materie lasciate alla potestà esclusiva delle regioni quando lo richiedano particolari condizioni. L’intervento legislativo avverrebbe mediante legge dello Stato approvata su proposta del Governo. Si tratterebbe dunque di una
legge monocamerale in cui l'
intervento del Senato, l’organo che dovrebbe occuparsi maggiormente degli affari regionali, sarebbe solo
eventuale. Il testo completo della clausola è il seguente:
CITAZIONE
“Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.” (Nuovo art.117 comma 4)
In conclusione, si può ben vedere come l’intervento sul quale saremo chiamati a votare sia
molto complesso e incida profondamente sul futuro assetto istituzionale del paese. Votare SI o NO significherà scegliere tra due diversi modi di concepire le istituzioni. Visto il grande numero di aspetti toccati, non sarà neppure facile scegliere tra questi due sistemi. L’unico
errore da non compiere è quello di scegliere in base alle simpatie politiche, votando “di pancia”, per approvare o punire l’operato dell’attuale Governo. Sarebbe la cosa più stupida da fare: perché questo Governo nel 2018 terminerà il suo mandato; perché questo o quel personaggio politico tra qualche anno sarà uscito di scena. Ma quello che andrà scritto in Costituzione rimarrà a lungo il
fondamento delle nostre istituzioni.
Edited by il Fuochista - 7/10/2016, 17:59