1. L'identità: un'ossessione nella misura in cui ci sfugge
    "In quale preciso momento il reale si è trasformato in irreale, la realtà in fantasia? Dov'è la frontiera? La frontiera dov'é?" Milan Kundera

     
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    Vi sono situazioni in cui per un istante non riconosciamo più chi ci sta accanto, momenti in cui l'identità dell'altro si cancella, mentre, di riflesso, dubitiamo della nostra; attimi di smarrimento, in cui il tuo orologio interno si ferma, smette di ticchettare e il respiro ti si blocca a metà gola. Talmente immerso nella commedia che stai recitando, diventato un tutt'uno con la trama che pensavi di conoscere, cosa fai quando qualcuno cambia bruscamente la sua parte? Il silenzio si impadronisce del palcoscenico, il tuo corpo è stranamente intorpidito, come distrutto da quel cambio di ruolo apparentemente banale, sfinito alla fine di una battaglia che non sospettavi neanche di star conducendo; interroghi con gli occhi l'attore accanto a te, lo scruti, cerchi quella sua parte, quel suo essere che ti era così familiare da esser diventato ormai prevedibile e ti rendi conto che è svanito, dissipato nell'aria. A quel punto torni alla realtà, senti di nuovo il tuo corpo, riprendi fiato, guardi il pubblico; le luci puntano dritte e accecanti verso di te, lo sguardo del pubblico punta verso di te, aspetta la tua battuta, la tua reazione, perchè tutto, il tuo e il suo essere, il loro giudizio, dipende da questo: sai la tua parte? Sei sicura che la parte che fino ad ora hai recitato, la stessa che conoscevi a memoria e per cui solo apparentemente non facevi alcuno sforzo fosse veramente la tua? Chi è l'attore al tuo fianco? Ma soprattutto: chi sei tu?

    jpgCon la sua straordinaria arte della dilatazione dell'attimo significativo, lo scrittore cieco Milan Kundera ha fatto di questo senso di panico, con i relativi interrogativi, il tessuto stesso del suo romanzo, intitolato per l'appunto "L'identità", in cui la brevità si intreccia con l'intensità e un solo evento segna l'inizio di una vicenda labirintica nel corso della quale il lettore sarà costretto a varcare più volte la frontiera tra reale ed irreale, o meglio, fra ciò che accade nel mondo esterno e ciò che una mente elabora in solitudine. Come due attori che dialogano raramente tra di loro, agendo sulla base di supposizioni ed ipotesi, i due protagonisti, Chantal e Jean Marc, sono sempre sullo stesso palcoscenico, nella medesima scena, anche se di volta in volta, in un gioco di equivoci e (s)cambi d’identità, si trovano ad interpretare altri personaggi. Da una parte abbiamo Chantal, divorziata e madre di un figlio dopo la cui perdita, a pochi mesi dalla nascita, incontrerà Jean Marc, con cui inizierà una nuova fase della sua vita; da moglie perfetta e votata al silenzio, Chantal si dimostrerà una persona completamente diversa, una compagna fedele ma emancipata, all'apparenza soddisfatta e felice di quel suo nuovo essere. Tuttavia, il senso di oppressione che l'ha allontanata dal primo matrimonio le rende difficile la scelta di accasarsi con Jean Marc; liberatasi dalla schiavitù di quel primo legame, l'incubo di una relazione claustrofobica, accompagnato ad una crisi di mezza età, si impadronisce di lei quando, durante una passeggiata, nota che "gli uomini non si voltano più a guardarla". Lei che fin da bambina voleva essere come il profumo di una rosa e ammaliare schiere di uomini, come può arrendersi alla relazione con Jean Marc, futuro che recide ed esclude ogni altro, la fine delle occasioni di essere veramente se stessa?


    Mentre Chantal rifugge l'isolamento dopo aver eliminato il suo lato meno monogamo, Jean-Marc nel caos delle possibilità che aveva di fronte ha invece irrimediabilmente perso se stesso: privo di qualsiasi ambizione, Jean Marc ha scelto di vivere in una condizione di subordinazione rispetto a Chantal, divenuta la sua unica occupazione. Di conseguenza, il primo vero scambio di ruoli avviene tra Jean-Marc e Chantal e riguarda la ridefinizione dei ruoli generalmente riconosciuti all’interno di una coppia.
    La storia dei due amanti, nelle sue complicazioni, portate all'estremo dall'autore, rivela una verità molto semplice, che ci rende vulnerabili quando amiamo qualcuno: la paura di "perdere di vista" e non riconoscere quella persona, intorno alla quale costruiamo la nostra vita, in una reciproca fusione di identità. La verità è che ad un certo punto l’isolamento in cui ci chiudiamo, scegliendo di far parte di una coppia, ci induce a vedere nell’altro solo certe cose, quelle che ci fanno più comodo, scartando tutte le altre. Un giorno, all’improvviso, gli aspetti che avevamo abilmente evitato, si ripresentano, come incubi che mettono in discussione l’identità dell’altro. Ecco che nel suo romanzo Kundera ci svela come, nelle fantasie di entrambi gli amanti, prendono vita degli aspetti dell’uno e dell’altra che fino a quel momento avevano taciuto.

    Questi e molti altri sono i meccanismi da cui nasce il dubbio che l’identità non esista, che sia il frutto di fraintendimenti, che muti continuamente e che nel tempo non sopravviva nessun granitico Io. Quest’identità fuggevole si rincorre ad ogni pagina diventando l’epopea degli uomini e delle donne di oggi che non trovano più né se stessi né l’altro, tanto che alla fine preferiscono liquefarsi nel magma del conformismo piuttosto che non essere nessuno. "L'identità" è un libro incentrato sull’incapacità di identificare l’Io, sulla scomparsa dell’amicizia e dell’amore come conseguenza dell’indebolimento dell’identità. E’ costellato di domande fondamentali, cosa che lo rende un gigantesco e infinito incubo dal quale alla fine ci si sveglia: l’incubo è finito, ma le ansie e i timori che ha innescato difficilmente abbandonano la nostra mente. E la straordinarietà di Kundera sta proprio in questo: il compito dell'arte infatti non è quello di fornire al lettore una risposta, ma piuttosto di farlo riflettere, di finire con una domanda.


    Mia Martinez

    Edited by il Fuochista - 8/8/2016, 20:01
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