1. Sì all'informazione, no al #bufalendum
    Uno sguardo concreto alla situazione italiana: oltre le fallacie informali dei "No-Triv"

    Avatar
    Tags
    17 aprile
    Dossier
    informazione
    referendum No Triv
    By Lavinia Peluso il 6 April 2016
     
    0 Comments   67 Views
    .
    "Il referendum è illegittimo, fa leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune"
    Michela Costa, geologa italiana


    Il 17 aprile il popolo italiano sarà chiamato alle urne per un referendum voluto dalle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto; il voto popolare affronterà un problema tecnico e complesso: le trivelle e l'estrazione degli idrocarburi a meno di 12 miglia dalle coste italiane, questione concernente, dunque, 21 delle 66 piattaforme presenti sul territorio nazionale. Si tratta di un referendum abrogativo, è quindi necessario che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con il 'Sì', in questo modo i cittadini si dimostreranno favorevoli a cancellare la norma sottoposta a referendum: ovvero, optando per il 'Sì' se intendano far sì che le strutture possano continuare l'estrazione fino al termine della concessione, oppure fino all'esaurimento del giacimento scegliendo 'No'. Non si tratta, quindi, di un sì o un no alle trivellazioni: i comitati "No-Triv" che cercano di diffondere questo messaggio fanno riferimento solo ad affermazioni infondate.

    "Si tratta di un referendum ingannevole e dannoso": questa è l’opinione di Gianluca Borghini, presidente del comitato "Ottimisti e razionali", sostenitore dello slogan “No ai No-Triv. Sì al lavoro” . E', però, più opportuno dire che il comitato sopracitato si schiera contro il referendum: l'obiettivo è quello di non raggiungere nemmeno il quorum voluto dalle Regioni. "E' assurdo che prevalgano gli interessi locali e non nazionali" afferma Borghini: infatti, ciò che è inoltre oggetto di critica è il reclamo da parte delle autorità locali della competenza sui piani energetici e sulle concessioni per l’estrazione di idrocarburi.
    Se da un lato si hanno motivazioni economiche, il fatturato annuo risulta infatti superiore ai 20 miliardi di euro, occupazionali, il settore dà lavoro a circa 10mila persone, oltre ad uno sguardo realistico alla situazione italiana con i suoi vari limiti per il ricorso a fonti rinnovabili; dall'altro vediamo argomentazioni infondate tra le quali è necessario evidenziare una vera e propria demonizzazione delle trivelle che fa appello all'idea negativa che nell'immaginario comune si ha di tali piattaforme, come ha affermato la geologa Michela Costa, che aggiunge: "Ho deciso di prendermi del tempo per informarmi e andare oltre le immagini e le informazioni che fonti “orientate” ci propinano in rete, soprattutto in materia ambientale, visto il tipico vizio che hanno certe campagne ambientaliste di puntare i piedi e otturare le orecchie."
    Passiamo ora ad esaminare le motivazioni principali enfatizzate dai votanti del 'Sì' prive di qualsiasi fondamento.


    1. Il combustibile estratto
    Gli impianti oggetto del referendum sono estrattori di metano che, sebbene fossile, è meno dannoso del petrolio e resta, ad oggi, insostituibile: costituisce, infatti, il 54% dell’offerta energetica mondiale. Il gas non danneggia l'ambiente: non si sono mai verificati incidenti durante la sua estrazione, sottoposta a rigidi controlli, né è pericoloso il suo trasporto, che avviene attraverso gasdotti sotterranei.
    Il cosiddetto oro nero, l’oggetto più demonizzato dalle campagne “No-Triv” attraverso immagini raffiguranti uccelli e animali marini ricoperti e soffocati da tale materiale, nel nostro Paese viene estratto per la maggior parte a terra, principalmente in Basilicata, da cui proviene circa l'85% del materiale da noi utilizzato, non in mare, da cui si ricava sì il restante 15%, ma attraverso piattaforme situate oltre il limite delle 12 miglia, dunque non oggetto del referendum.
    Le piattaforme, aree di ripopolamento ittico, inoltre, non si rivelano inquinanti dato che nessun rifiuto viene scaricato in mare, al contrario di quanto invece sostengono le varie associazioni ambientaliste.


    2. L'inquinamento
    Il catrame che troviamo sulle spiagge o in mare è prodotto dalle imbarcazioni e non dagli impianti trivellari: come già ricordato, tra le argomentazioni avanzate a favore della vittoria del 'Sì' vi è anche quella dell'inquinamento causato dall'attività di perforamento, tesi che si rivela dunque erronea.
    In caso di interruzione del prelevamento di petrolio dai giacimenti presenti sul territorio nazionale non si avrebbe, in ogni caso, l'eliminazione di un rischio ambientale, bensì ciò contribuirebbe ad aumentare l’importazione petrolifera, anche se in piccola percentuale, verso il nostro Paese e, conseguentemente, anche l’inquinamento, aspetto aggravato, inoltre, dall'aumento delle possibilità di incidenti durante il trasporto di tali materiali.
    La fine dell'estrazione di idrocarburi non si tradurrà nell'adozione immediata di una politica favorevole alle energie rinnovabili, basti considerare l'effettiva impossibilità di metterla in atto e la persistente dipendenza del nostro sistema da combustibili fossili.
    Si svela, dunque, una contraddizione nelle motivazioni dei comitati "No-Triv": perché votare 'Sì' al referendum per scongiurare il rischio di inquinamento se, in realtà, questo resta in ogni caso presente?


    3. Le aree interessate
    Le trivellazioni si svolgono su aree assai limitate: la vittoria del 'Sì' non impedirà, inoltre, la costruzione di altri impianti. La presenza di strutture estrattive entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06). Dismettere gli impianti esistenti comporterebbe un costo molto elevato per le varie compagnie, considerata la progettazione di una lunga vita operativa prevista per tali strutture.
    Tantomeno, la vittoria del 'Sì' non potrà vietare alle compagnie di costruire poco oltre questo limite o spostarsi in altri Paesi. "Si corre il rischio di ripetere quel che è successo con il nucleare. L’Italia ha rinunziato a costruire sul proprio territorio centrali nucleari e poi ne abbiamo a centinaia ai confini con la Francia e la Germania e - oltretutto - siamo costretti a mantenere in vita le nostre vecchie centrali che continuano a contenere nuclei di uranio attivo senza produrre energia. Un controsenso che ci costringe a comprare energia elettrica dalla Francia. Energia che la Francia produce con centrali nucleari” afferma Giovanni Esentato, docente presso la Scuola superiore di Sant’Anna di Pisa e segretario dell’Associazione imprese subacquee italiane.
    Vediamo, dunque, la reale impossibilità di eliminazione dell'attività di trivellazione, argomento di cui si fanno invece sostenitrici le varie associazioni a favore della vittoria del 'Sì': resterà in ogni caso possibile continuare l'estrazione oltre le 12 miglia; risulta, inoltre, ovviamente contraddittorio il far ricorso a energia prodotta da altri Paesi attraverso quegli stessi mezzi che avremmo la possibilità di sfruttare nel nostro territorio, ma che ci rifiutiamo invece di utilizzare.


    E' necessario andare oltre gli slogan strumentalizzanti, demolire i falsi miti e scoprire quanto vi è di fallace in tali argomentazioni, argomentazioni che nei casi analizzati non tengono conto della situazione reale italiana, fatto di cui i cittadini dovrebbero prendere consapevolezza al fine di un voto corretto.



    Lavinia Peluso
      Share  
     
    .
 
Top