1. House of Cards - Gli intrighi del potere
    Una serie televisiva che invade la realtà

    Avatar
    Tags
    Kevin Spacey
    politica
    Robin Wright
    serie televisive
    By Giovanni Giannini il 20 Mar. 2016
     
    0 Comments   83 Views
    .
    Il potere logora chi non ce l'ha.
    Giulio Andreotti


    Negli Stati Uniti, una delle armi politiche più efficaci è, da alcuni decenni, la televisione, magico strumento che permette di arrivare direttamente nelle abitazioni di milioni di elettori. In questi mesi, in cui in America si stanno tenendo le primarie per eleggere i prossimi candidati alla presidenza, non è raro, nelle case dell'Iowa o della California, assistere a spot pubblicitari favorevoli a questo o a quel candidato, con Trump che fa promesse agli xenofobi e alle lobby delle armi, e Hillary che preferisce puntare sui valori della famiglia (tradizionale e non) e del lavoro. Ma tra uno spot politico e l'altro, se ne può osservare uno più rassicurante e colmo di speranza, che mostra uomini intenti nella costruzione di una nuova casa, un soldato che torna felice dalla sua famiglia, e bambini che corrono impugnando bandierine a stelle e strisce. Il candidato che viene pubblicizzato è Frank Underwood. Digitando il suo nome su Google, trovereste pagine Facebook e blog dedicati alla sua (fittizia) campagna politica. E apparirebbe anche il titolo di una serie televisiva in cui gli escamotage narrativi sono talmente efficaci da infrangere la quarta parete portando i suoi personaggi a vita vera: si tratta di House of Cards.

    La serie, distribuita inizialmente dal sito di streaming Netflix, girata e prodotta da Beau Willimon, ha infatti raggiunto in patria una fama tale che il suo protagonista è divenuto una vera e propria icona politica, e negli Stati Uniti esistono spot pubblicitari in suo favore, degni di una reale campagna presidenziale. Persino personaggi del calibro di Bill Clinton e Barack Obama hanno affermato in varie occasioni di apprezzare la serie, arrivando ad ammettere che (salvo la presenza di elementi drammatici necessari alla narrazione) essa racconta con efficacia molti aspetti della politica statunitense: termini che, mutatis mutandis, la descrivono quasi come una sorta di Principe machiavellico dei tempi moderni. La serie, iniziata nel 2013, è stata trasmessa in Italia su Sky Atlantic, su cui dal 4 marzo di quest'anno è possibile seguire i nuovi episodi della quarta stagione.

    Frank Underwood (interpretato da un memorabile Kevin Spacey) è il capogruppo del Partito democratico al Congresso degli Stati Uniti d'America. Ambizioso e lungimirante, ha un obiettivo molto chiaro in mente: divenire Presidente. Oltre che sulle sue astuzia e abilità politica, può contare su due preziosi alleati: la moglie Claire (una bravissima e affascinante Robin Wright), fonte di consigli e appoggio nei momenti più difficili, e il suo capo-staff Doug (Michael Kelly), disposto a tutto pur di sostenere il suo superiore.

    House of Cards merita di essere guardata e apprezzata anche soltanto per un motivo: per una volta, il protagonista è un cattivo. Precisiamo fin da subito: Frank Underwood non è un politico corrotto, se per corrotto intendiamo un uomo che usa il suo potere per ottenere ricchezze e altri benefici illeciti. Così come sarebbe riduttivo definire “corrotti” Macbeth o Dracula, allo stesso modo è impossibile applicare questo aggettivo al futuro Presidente degli Stati Uniti. Lui ricerca il Potere come fine in sé: dà per scontata l'assoluta fedeltà dei suoi alleati/sottoposti, da cui pretende veri e propri sacrifici e offerte votive, e vuole distruggere, come una divinità gelosa e superba, tutti coloro che gli si oppongono.

    Underwood è un maestro della manipolazione, capace di tirare i suoi interlocutori dalla propria parte con i mezzi più disparati, dalla persuasione all'intimidazione passando per la corruzione. E lo spettatore non sfugge alla sua abilità. Frank è consapevole della sua presenza, sa di essere osservato, e di conseguenza rompe frequentemente la quarta parete, rivolgendosi al pubblico. Lunghi monologhi esplicativi che nessun altro può udire, battute sarcastiche, o semplici gesti di complicità: il nostro (anti)eroe ha sempre un momento per lo spettatore. E quest'ultimo, prima ancora che possa rendersene conto, ne rimane affascinato. Il personaggio di Spacey mente, inganna, aggira la legge, uccide persino, ma ciò nonostante chi guarda non può fare a meno di fare il tifo per lui, odiando i suoi nemici e gioendo dei suoi successi. Lo spettatore è ormai solo un'altra vittima della manipolazione di Frank Underwood: il suo incantesimo ha avuto ancora una volta successo.

    Ma non sarebbe possibile comprendere adeguatamente un personaggio senza tener conto dell'ambiente in cui vive tutti i giorni, e nella Washington DC di House of Cards, che vuole essere specchio di quella reale, non vigono certo le regole della democrazia e delle libertà politiche. Assomiglia più ad una giungla hobbesiana, dove politici ambiziosi, ambasciatori doppiogiochisti, giornalisti spregiudicati, sindacalisti inetti e lobbisti corrotti sono perennemente impegnati in una darwiniana lotta per la sopravvivenza, in cui i confini delle alleanze, sempre mutevoli e mai salde, non sono disegnati dalle ideologie o dai fini comuni, ma dagli obiettivi del momento, così che, spesso, gli amici di oggi sono i nemici di ieri.

    Scriveva Arthur Machen: “...chiamiamo peccato le infrazioni ai regolamenti della società, i tabù sociali. E' un'assurda esagerazione. […] L'essenza del peccato è voler prendere d'assalto il cielo.” In una scena, Frank, solo in una chiesa, sale sull'altare e sputa sul volto del Cristo crocifisso. Non lo fa perché non creda in Dio, al contrario. Ci crede eccome, e quindi non può fare a meno di odiarlo. Lo odia perché gli ruba fedeli. Soprattutto, odia tanto Dio (il fato, la morte) perché sa che prima o poi verrà anche per lui. Quel momento, tuttavia, appare ancora lontano. Dio si tenga pure il futuro; il presente appartiene a Frank Underwood.



    Dicono che otteniamo i leader che meritiamo. Io penso che l'America meriti Frank Underwood. E, in cuor vostro, sapete che ho ragione.
    Frank Underwood

    Giovanni Giannini
      Share  
     
    .
 
Top