1. I nostri cari zombie
    Storia e simbologia di uno dei mostri più celebri dell'immaginario.

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    George Romero
    By Giovanni Giannini il 8 May 2016
     
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    "Gli zombie siamo noi, arrivati al termine del ciclo della società di massa. Una moltitudine indistinta mossa da un solo impulso, quello di consumare la merce definitiva: l'umanità stessa."
    Giorgio Lavagna

    Se c'è un mostro che, nel corso della storia, è stato volgarizzato e abusato, è il lento, ottuso, affamato, grottesco zombie. Forse perché è anche quello che più si prestava ad essere divorato dalla cultura pop; se i suoi “cugini”, Dracula e la creatura di Frankenstein, sono nati da alcuni dei più importanti romanzi vittoriani, il povero zombie ha visto la luce nei più sgangherati drive-in degli Stati Uniti. Ma nell'arte mai niente è fatto per caso: e il papà degli undead, il regista statunitense George A. Romero, recentemente premiato al Lucca Film Festival, dando vita ai suoi non-morti, ha creato uno dei mostri più carichi di significato che la storia dell'immaginazione abbia conosciuto.

    Premessa: l'idea (così come la parola stessa) dello “zombie” ha origini molto più arcaiche ed esotiche di quanto si potrebbe immaginare, e per ritrovarle dobbiamo navigare fino a Haiti. Secondo gli abitanti dell'isola e il loro originale culto noto come voodoo (che unisce elementi del cristianesimo e dell'animismo africano, e che tutt'ora è religione di Stato della Repubblica di Haiti), uno stregone malvagio, o “bokor”, sarebbe in grado, grazie alla magia nera, di resuscitare i morti per renderli suoi servitori. Questo “mito” ha origine, come molti altri dello stesso genere, da una pratica reale, tipica nelle piantagioni dell'ex-colonia francese, dove a sventurate vittime veniva indotto, attraverso l'uso di droghe e stupefacenti, uno stato di morte apparente, per poi essere risvegliate in uno stato di demenza ed essere trasformate in schiavi.

    Le creature nate dalla fantasia di Romero hanno in comune, con i loro antenati haitiani, il nome e poco altro. Si tratta, com'è noto, dei corpi dei defunti che improvvisamente si animano per nutrirsi della carne dei viventi. Per questo evento, nessuna spiegazione, né esoterica né scientifica. Nessuna maledizione ancestrale, nessun folle esperimento andato storto. E', più banalmente, la fine del mondo, la cui progressiva degenerazione viene narrata nel corso di una saga composta da sei film (La notte dei morti viventi, Zombie, Il giorno dei morti viventi, La terra dei morti viventi, Diary of the Dead-Le cronache dei morti viventi, Survival of the Dead-L'isola dei sopravvissuti). Romero (che è sempre stato uno dei registi più schierati politicamente tra quelli del così detto new horror statunitense) ha creato la sua opera attorno ad un unico filo tematico sviluppato attraverso tutti i suoi film, e che è centrale in Zombie, la sua pellicola più famosa e importante. Per usare le sue stesse parole:

    CITAZIONE
    "Mi ha sempre attratto l'idea del mostro dentro di noi, e mi piace pensare che gli zombie siamo noi. Gli zombie sono i mostri della classe operaia."
    George A. Romero

    In una scena, un'orda di zombie invade un centro commerciale. Una volta dentro, essi iniziano, in maniera goffa e grottesca, a imitare le azioni che compivano da vivi: fissano le vetrine, osservano gli oggetti esposti, si attardano vicino al bancone del bar. Tutto ciò è ridicolo, per nulla spaventoso, pensò il pubblico dell'epoca. Erano gli anni '70, il nascente e rampante consumismo la faceva da padrone, centri commerciali e supermercati erano ancora un'affascinante novità; ancora non si vedevano folle di consumatori vagare senza meta in questi templi della merce, ancora non si pensava alle orde di compratori in fila fuori dal negozio per acquistare il nuovo modello di cellulare. Soltanto ora possiamo renderci conto di quanto il regista sia stato profetico nella sua satira. Soltanto ora possiamo osservare con sincero terrore quanto gli zombie siano realmente simili a noi.

    Il merito di Romero è di essere riuscito, attraverso le sue creature, a rappresentare con efficacia e avveniristica fantasia difetti e contraddizioni della società di massa in cui viviamo. D'altronde, questa è sempre stata la funzione dei “mostri”, in tutte le forme in cui si sono presentati nella storia del pensiero. Essi sono, per l'umanità, l'altra faccia della medaglia, e contemporaneamente lo scheletro nell'armadio, doppioni ributtanti e temuti più a causa di ciò che essi significano che per il loro aspetto fisico, attraverso varie epoche storiche. Ad esempio, durante l'età vittoriana, nascono Dracula e Mr. Hyde, specchio di un moralismo ipocrita e bigotto, tipico della nascente borghesia inglese ottocentesca; in parte uomini in parte bestie, rappresentanti di quell'impulso animale primordiale (a cui non mancano forti connotati sessuali) che l'uomo non può permettersi di reprimere. O ancora, il positivismo, epoca di fiducia illimitata nei poteri della scienza e della ragione umana, ha dato la luce a Frankenstein e all'uomo invisibile, folli scienziati i cui esperimenti incontrollati hanno creato mostri, o hanno trasformato loro stessi in mostri. Questo è il loro compito: nostri vicini inconfessabili, indesiderati inquilini del nostro subconscio, essi ci mostrano ciò che potremmo diventare.

    Il povero zombie, rispetto ai suoi ben più “aristocratici” antenati, che rappresentavo innati impulsi primordiali e sfidavano le leggi della fisica per diventare nuovi dei, è decisamente più stupido, banale e “massificato”. Sorge, a tal proposito, un interrogativo inquietante: che il consumismo e la società di massa siano riusciti a rendere mediocre persino il nostro doppio mostruoso?


    Giovanni Giannini

    Edited by il Fuochista - 8/5/2016, 17:42
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