1. TTIP per chi ancora non mi conoscesse
    America e Europa per la "Transatlantic Trade and Investment Partnership"

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    By Rachele Pellegrini il 20 July 2016
     
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    Nel giugno 2013, il presidente degli Stati Uniti d’America Obama, il presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy e il presidente della Commissione Europea Barroso, annunciavano che Stati Uniti e Unione Europea avrebbero lavorato ad una serie di possibili negoziati riguardanti il commercio oltreoceano e alla proposta di una ridefinizione dell’impresa collettiva di investimenti tra le due potenze coinvolte. Di questi ed altri progetti negli ultimi mesi abbiamo sentito parlare sotto il nome di TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), soprattutto a causa delle voci contrarie e perplesse alzatesi da molte piazze europee.

    Il TTIP, per chi ancora non lo conoscesse, intende essere un ambizioso e vasto accordo commerciale tra gli Stati Uniti e la nostra Unione, che espanda in modo significativo le relazioni di scambio e investimento già esistenti, incrementi la crescita economica, offra nuovi posti di lavoro e porti a livelli ancora più alti la competitività internazionale. Così ad oggi la trattiva, se venisse firmata da ognuno dei paesi che aderiscono all'Unione Europea, sarebbe pronta per essere conclusa dalla Commissione in accordo con gli Stati Uniti e ratificata successivamente da ognuno degli stati membri.

    Tra i vari punti stilati all’interno del documento, a far più gola agli impresari d’oltreoceano sono sicuramente quelli riguardanti il trade in goods: “Noi miriamo a eliminare tutte le tariffe sul commercio di prodotti di consumo, agricoli e industriali tra U.S.A. e U.E.” Questo è sicuramente il primo goal che i nostri forse futuri partner commerciali ambiscono a segnare. In effetti, dando un occhio alle stime, risulta che gli Stati Uniti inviano ogni giorno più di 730 milioni di dollari (dazi inclusi) in beni di consumo verso l’Europa, tenendo ben presente che nell’attuale mercato mondiale, così altamente competitivo, qualsiasi piccolo aumento nel costo di un prodotto può significare la vincita o la perdita di un contratto.

    In questo contesto, non è irrilevante che l’industria manifatturiera americana di base stia crescendo e che di fatto produca alcuni dei beni industriali più avanzati al mondo. Nel corso del 2012 un valore pari a 253 miliardi di beni di questo genere è stato inviato in Europa, una cifra che non accenna a diminuire nei registri degli anni successivi. Con l’eliminazione delle tariffe europee su tali merci, se consideriamo l’innovativa e alta tecnologia dei prodotti dell’industria chimica e meccanica americana, il loro panorama d’esportazione non avrebbe probabilmente modo di temere quello di nessuno degli altri partner commerciali dell’Unione, come Chile, Messico, Sud Corea e Sud Africa, a cui è invece riservato un duty-free treatment per il commercio verso l’Europa: praticamente le stesse condizioni di ogni altro stato membro.

    Gli Stati Uniti non risparmiano larghe vedute neanche sul futuro roseo che il TTIP potrebbe garantire alla propria industria agricola. In realtà oggi l’America ha già guadagnato il titolo di primo esportatore di prodotti agricoli al mondo. I loro beni cibari e agricoli esportati praticamente ovunque non scendono infatti sotto il valore di 145 miliardi all’anno, anche se di questi solo una decina di miliardi di dollari partono per l’Europa, un prospetto che gli americani sanno potrebbe essere nettamente più alto. “Il nostro obbiettivo col TTIP è aiutare le vendite agricole americane eliminando le tariffe così da garantire un più vasto campo d’azione per i nostri produttori.” Questa retorica si è fatta ormai ridondante nei discorsi degli appartenenti ai settori dell’economia americana più interessati, basti pensare che i produttori di mele pagano più del 7% del guadagno in tariffe quando inviano verso l’Europa i frutti dei loro raccolti, mentre altri competitori europei non solo non pagano per l’esportazione dello stesso prodotto verso gli altri stati membri, ma neanche per quella verso i mercati statunitensi. Squilibri simili si registrano nel commercio dell’olio di oliva, dove ogni tonnellata americana è soggetta ad una tariffa di 1.680 dollari prima di entrare in Europa mentre le tonnellate d’olio europeo travalicano i confini americani a 34 dollari l’una. Livellando tutto questo è chiaro che gli americani aiuterebbero il successo dei propri raccoglitori, operai, tecnici e agricoltori.

    Anche l’altra parte in ballo, l’Europa, ha la sua schiera di sostenitori pro-TTIP che grida al rilancio della nostra economia, alla possibilità di rispondere alle situazioni di conflitto in prossimità delle nostre frontiere, all’occasione di adattarsi ad altre economie emergenti e di mantenere la nostra influenza nel mondo. Uno studio indipendente e i precedenti accordi commerciali dell'Unione dimostrano che il TTIP porterebbe in linea teorica una serie di vantaggi: la creazione di posti di lavoro e un rilancio della crescita generale, una riduzione dei prezzi per i consumatori e una scelta più ampia e aiuterebbe inoltre l'Unione a influenzare le regole del commercio mondiale diffondendo i suoi valori in tutto il mondo.

    Eppure, anche se il preambolo del documento sembra chiarire come il trattato debba contenere richiami in materia di diritti umani, democrazia e tutela della salute, della biodiversità e dei consumatori, alcune norme dello stesso patto sembrerebbero entrare in contraddizione con tali impegni. Ci riferiamo ad esempio alla facoltà delle multinazionali americane di portare i singoli stati dell'Unione in tribunali “off shore” ,ossia privati, qualora essi, in opposizione al modus operandi delle suddette, decidessero di proteggere i consumatori appellandosi a nuovi dazi doganali ad hoc o ad altre misure precauzionali per bloccare prodotti privi delle dovute garanzie.

    Il TTIP non può quindi essere un accordo da accettare a qualunque prezzo. Soprattutto in Europa, dove cittadini e produttori sono armati dell’alta qualità dei beni, della sicurezza e della genuinità dei prodotti e di un consumo in linea di massima responsabile e consapevole. Non ci possiamo permettere di vanificare i risultati ottenuti nel rispetto di standard elevati, che non solo proteggono la salute e la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente ma apportano importanti benefici alla società all’interno dei nostri confini.

    Rachele Pellegrini


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    Edited by il Fuochista - 2/8/2016, 15:11
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