1. La Costituzione Italiana, 68 anni dopo
    Cosa cambia con la riforma? Qual è il progetto politico alle sue spalle? C’è veramente bisogno di una riforma costituzionale? Editoriale di introduzione al nostro dossier sulla riforma

    L’Italia, prima della fine dell’anno, si troverà di fronte ad una delle più importanti chiamate alle urne della sua storia, il referendum sulla riforma costituzionale “Renzi-Boschi” . La data non è stata ancora stabilita: “Si vota tra fine novembre e inizio dicembre”, ha detto il Ministro Maria Elena Boschi, uno dei promotori della riforma. In ogni caso, si tratta di un voto destinato a cambiare profondamente l’andamento politico del paese. Il grande numero di articoli toccati (47 su 139) e la profonda modifica dell’assetto istituzionale che ne deriverebbe rendono questo referendum costituzionale un vero e proprio voto sul futuro della Repubblica. Come quello proposto nel 2006 (e respinto dal 61,29 % dei votanti), numerosi sono gli ambiti d’intervento della riforma. Abolizione del bicameralismo perfetto e passaggio ad un bicameralismo differenziato in cui una camera (l’attuale Senato) diverrebbe rappresentativa delle istituzioni territoriali. Riforma del procedimento legislativo con divisione delle leggi in bicamerali, monocamerali e monocamerali con intervento del Senato, con introduzione dei procedimenti “a data certa”. Abolizione delle Province e modifica del riparto delle competenze tra Stato e Regioni. A questi ambiti se ne devono aggiungere altri non di secondaria importanza. Tutti questi aspetti saranno oggetto di un unico quesito. Sarà perciò fondamentale un’opera di attenta ponderazione dei diversi ambiti che verranno modificati.

    Certamente aver racchiuso l’intera proposta di riforma in un quesito unico, decisione oggetto di un accesso dibattito che ha coinvolto politici e accademici, è tutt’altro che frutto di una scelta casuale. È invece la chiara dimostrazione di come questo referendum faccia parte di un programma politico molto più ampio. Un programma sul quale l’attuale esecutivo ha scommesso fortemente, a tal punto che il Presidente del Consiglio Renzi aveva, almeno in un primo momento, legato le sorti del suo governo al risultato della consultazione. Tale programma include anche la nuova legge elettorale, il c.d. Italicum, che è entrato in vigore per la sola Camera dei Deputati, scommettendo sull’esito positivo del referendum che porterebbe all’abolizione dell’elezione diretta del Senato. E lo stretto collegamento tra legge elettorale e riforma costituzionale dovrà essere oggetto di un’approfondita riflessione.

    Dunque la riforma, per essere adeguatamente compresa, non può essere considerata come fine a sé stessa, bensì inserita in un progetto più ampio. Non pochi hanno evidenziato come, dietro all’abolizione del Senato elettivo, alla creazione di nuovi e diversificati provvedimenti legislativi e all’aumento delle materie di competenza esclusiva dello Stato, ci sia una tendenza “accentratrice” e una ferma volontà di aumentare il potere del Governo a scapito degli interlocutori istituzionali, quali gli enti locali e il Parlamento. Anche questo aspetto non potrà essere sottovalutato nell’analisi dei risultati complessivi a cui questa riforma, se approvata dall’elettorato, potrà condurre.

    A questo punto, però, il rischio più grande è di perdere di vista quello di cui stiamo realmente parlando, cioè la nostra Carta Costituzionale. Non una semplice legge, che può essere modificata e riscritta con leggerezza, ma la Legge fondamentale, quella sulla quale, non senza ritardi e compromessi, è stato costituito tutto l’ordinamento italiano. Una Legge che contiene, oltre alle disposizioni sull’assetto repubblicano, anche i diritti e i doveri fondamentali, molti dei quali tutt’altro che scontati negli anni di stesura della Carta (1946-47). Una Legge che è stato il definitivo punto di rottura con i precedenti ordinamenti, la monarchia e il regime fascista. “In questa Costituzione [...] c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli.” Queste parole, tratte dal Discorso sulla Costituzione (1955) di Piero Calamandrei, sono utili per comprendere quanto “omnicomprensiva” sia la nostra Carta Fondamentale. Alla sua stesura, infatti, hanno partecipato tutti i partiti che avevano fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale; si sono dunque trovati allo stesso tavolo, almeno in un primo momento, rappresentanti di partiti e movimenti politici con idee e programmi diametralmente opposti. La Costituzione è dunque stata il frutto di un continuo confronto tra visioni profondamente diverse. Ed è in quest’ottica che andrebbe valutato il bicameralismo perfetto, unicum nel panorama del diritto comparato. Da molti bistrattato e considerato la principale causa dell’inefficienza e della lungaggine del procedimento legislativo italiano, esso è invece stato il frutto di un lungo processo di ponderazione e discussione tra le diverse anime della Costituente. Il custode di un equilibrio fragile, che potrebbe facilmente rompersi e sfociare negli eccessi dell’autoritarismo da una parte e del parlamentarismo dall’altra. Un equilibrio che l’attuale progetto di riforma andrebbe a modificare profondamente.

    Forse, come avvenuto per la prima stesura, anche alle spalle di questa riforma sarebbero stati necessari una maggiore partecipazione e una più ampia discussione assembleare. Certamente, se al referendum vincerà il SI, questo non si potrà tradurre solo in un rinnovamento dell’ordinamento ma nella presa di coscienza di un mutato atteggiamento dell’elettorato nei confronti delle istituzioni. Una vittoria del SI sarà una richiesta di rapidità ed efficienza nel procedimento legislativo a scapito di una maggiore ponderazione e condivisione del contenuto dei provvedimenti. Una vittoria del SI si tradurrà nella necessità di un esecutivo stabile e capace di rimanere in carica per tutto il suo mandato, con la rinuncia alla rappresentatività (e, talvolta, all’instabilità) delle istituzioni parlamentari. Questo perché la Costituzione non può essere considerata un semplice documento fondamentale, bensì deve essere lo specchio di una nazione e delle istanze del suo popolo. Se così non fosse, ci avrebbe visto lungo Indro Montanelli quando, in un’intervista rilasciata ad un quotidiano tedesco nel 1996, affermò: “In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è”.

    La redazione de Il Fuochista



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    Edited by il Fuochista - 29/11/2016, 09:15
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