1. Ho sempre desiderato andare al cinema da sola
    Nella colorata e vitale cornice del Lucca Film Festival si inserisce anche il concorso dei cortometraggi sperimentali, a cui ho avuto occasione di assistere nel corso seconda giornata dedicata all’ev

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    By elenamodena il 25 May 2016
     
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    Prima di tutto, meglio far chiarezza, o almeno provarci, sul significato di cortometraggio sperimentale .

    Posto che per cortometraggio si intende un film la cui durata complessiva non superi i 15-30 minuti e di indipendenza propria, ovvero non da considerarsi come “fratello minore” o “surrogato” del cinema espresso dai lungometraggi, a cosa dobbiamo l’attributo di sperimentale ? Wikipedia non ci aiuta, una definizione precisa non esiste.

    La caratteristica sperimentale si trova a metà fra esperienza e esperimento. Primo, l’esperienza dell’autore: il cinema sperimentale è spesso associato all’autoproduzione e al principiare di una carriera artistica; secondo, l’esperienza trasmessa allo spettatore tramite un uso espressivo dei linguaggi cine-audio-visivi, la creazione di opere suggestive, che esplorano diverse atmosfere, spazio e tempo, realtà e immaginazione, opere estreme, senza limiti di tipo logico o narrativo. L’esperimento riguarda invece il prodotto finale, o meglio, il percorso per arrivare al prodotto finale, lo studio e l’attenzione dedicati all’immagine, addirittura manipolandola (direttamente sul campo o in post produzione), la stretta relazione che spesso intercorre con altre discipline quali musica, pittura, illustrazione.

    Nell’approccio al cinema sperimentale, un consiglio: siate pronti a tutto, a rimanere a bocca aperta come a non capire nulla.


    Ho sempre desiderato andare al cinema da sola, ed oggi ci sono quasi riuscita. La sala del Cinema Centrale (Via di Poggio Seconda, 36, Lucca, centro storico) è semivuota: conto otto spettatori oltre a me, tra cui due turisti capitati qui per caso (al secondo corto lasceranno la sala) e quattro studenti accompagnati da un professore.

    I corti presentati sono ben quattordici, durata media 10minuti, nessuna interruzione, introduzione o qualsiasi altro tipo di intervento. Giusto i sottotitoli.

    Le tematiche esplorate dei corti sono le più varie: amore, sessualità, razzismo, medicina, l’intimo umano; ma si colgono anche il gusto per l’astratto, la sfida lanciata allo spettatore, il gusto per la cura dei dettagli, per i “giochi”.

    Andando in ordine di proiezione:

    1. Crescendo. Cortile scolastico, Atene, ultimo giorno di scuola, come da rituale, gavettoni. Un efficace effetto slow motion estrania e affascina lo spettatore. La stessa scena si ripete più volte, inframmezzata dalle immagini di un’aula vuota, ma sempre con qualcosa in più: più gavettoni, più violenza, i gavettoni passeranno infatti dall’acqua alla tempera colorata, alla tempera nera sparata con pistole ad acqua. Infine, mentre il sangue scorre sulla lavagna, i ragazzi, nel cortile, sono ormai detriti, ricoperti da foglie secche e polvere.

    2. “Siamo tutti succhiacazzi”. Questa volta un cortometraggio d’animazione, i disegni brillanti, semplici e infantili si intrecciano e ballano sulle note di quella che sembrerebbe una perfetta sigla di cartoni animati per bambini, ma che in realtà esplora, più o meno volgarmente ed esplicitamente, vari aspetti della sessualità e dell’intimità. Ironico e graffiante, la canzone dell’inguine ballerina mi è rimasta in testa tutto il giorno.

    3. Calma. In questo corto, la storia d’amore, dolcissima, raccontata dalla voce profonda e avvolgente di lui, passa in secondo piano rispetto alla innovativa veste grafica. In bianco e nero, le immagini si sovrappongono e si fondono, su sfondo bianco, le figure si intrecciano, quasi foto, quasi film. Affascinate, rilassante.

    4. Code noir. Stile documentaristico sul razzismo tra Francia e America. Il focus del lavoro è soprattutto sul “collegare” le fonti: una successione perfettamente logica ed esplicativa di una serie di documenti visivi, testimonianze, interviste, tutti integrati fra loro e completamento l’uno dell’altro. Se il tratto sperimentale è poco evidente, a spiccare è il valore sociale e informativo del corto.

    5. Nessun dorma. Sulle note (attenzione, solo note, niente parole) della romanza intonata da Calaf nel terzo atto della Turandot di Puccini, si staglia, quasi come una miniatura, un paesino arroccato. Il punto di vista è quella di una finestra aperta, il cielo è limpido. La voce narrante riflette sul tempo, sulla durata del giorno, delle ore. Cala la notte, ed ecco svelato il gioco, la componente sperimentale: delle luci da palcoscenico poste davanti alla finestra da cui osserviamo, si accendono in successione illuminando e “dando vita” a porzioni del paesino. La banda che percorre le strade, ragazzi che giocano a pallone in una piazza, voci, brusio. La musica cresce e immerge in una atmosfera magica lo spettatore.

    6. Radio Conga. Ve la ricordate quella canzone dei Negrita? “è in onda radio conga / dal centro della giungla / c’è qualcuno là sopra?” Ecco, potrebbe essere un ottimo riassunto per questo corto. Una stazione radio con sede in una foresta, uno speaker estremamente entusiasta e tuttofare: non solo speaker radiofonico ma anche suoneria, ascoltatore intervistato al telefono, musica.

    7. Amico orso. Di nuovo animazione, ma stavolta le figure ricordano le bambole di pezza, o la creta, o i manichini. Forte impatto sociale ed ecologico: l’orso polare, a causa del riscaldamento globale, non può più stare sui ghiacciai, si reca quindi in una foresta, dove però viene discriminato dall’orso bruno (una sorta di razzismo xenofobo). Poi però la deforestazione rende difficile la vita anche all’orso bruno, il quale, quindi, deciderà di allearsi con l’orso polare in cerca di un futuro migliore. Tanto semplice quanto efficace, la vicenda in stile cartone per bambini è solo la punta dell’iceberg.

    8. Paura, Orgoglio, Passione. Di nuovo animazione ma stile ancora diverso: disegni bidimensionali, spigolosi, toni scuri. Un viaggio che ricorda la missione di un videogame alla scoperta dei tre spiriti che governano l’animo umano: paura, orgoglio e passione. Forte il dinamismo e la componente metaforica.



    Gli ultimi sei cortometraggi proiettati spingono fino all’estremo la loro caratteristica sperimentale. Non c’è trama, non c’è narrazione, non c’è logica. Sul confine fra astratto, d’avanguardia, e delirante, troviamo fotomontaggi sproporzionati di persone rese giganti in città piccolissime, monumenti spostati dalla loro reale ubicazione ma non adattati alla nuova; tubi di forma cubica che si scontrano e si intrecciano e si fondono dando forma figure geometriche prontamente disfatte dall’arrivo di un nuovo tubo; paesaggi che si susseguono a cui vengono applicati filtri colorati.

    Particolarmente degni di nota gli ultimi due cortometraggi, che hanno messo a dura prova i (pochi e coraggiosi) spettatori.

    Il penultimo, suppongo realizzato in computer grafica: un satellite artificiale passa davanti ad un edificio spezzato e sospeso nel vuoto, l’immagine si rimpicciolisce, l’edificio finisce in una bottiglia semipiena di Coca-Cola, il campo si allarga, la bottiglia diventa una moneta e la sequenza si ripete. E ancora. E ancora. Un loop di quasi dieci minuti. Snervante o geniale, a voi la scelta.

    “Cane caro, caro cane”, questo il motivetto ricorrente dell’ultimo cortometraggio. Bianco e nero, stile vecchio documentario, la voce narrante somiglia a quella di Google Traduttore. Un dialogo tra una donna ed il proprio cane, che, aperto in una sala operatoria, sta per essere riportato in vita da un famoso e bravo medico. Le riflessioni della donna e il possibile significato metaforico del corto sono quasi del tutto cancellate dall’atmosfera grave ed opprimente della vicenda.


    Conclusa la proiezione, ubriaca di immagini, suoni e colori, mi avvio verso casa come sospesa in un mondo senza più confini di espressione ed espressività, dove ogni dettaglio è rilevante e può nasconderne altri mille. Insomma, per quanto i cortometraggi sperimentali siano considerati di nicchia, non devono essere ritenuti inferiori a qualsiasi altra forma di espressione artistica e creativa. Con il loro linguaggio e la loro poetica così ambigui ed effimeri, riescono a veicolare un gran numero di informazioni, sensazioni, immagini, storie e qualsiasi altra cosa in qualche modo comunicabile, a patto che lo spettatore non si lasci scoraggiare e non si limiti ad osservare, ma si immerga nel mondo che gli viene presentato e vi si lasci guidare.



    Elena Modena

    Edited by il Fuochista - 21/6/2016, 12:29
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