Replying to Uomo, una specie bio-culturale.

  • Create account

    • Nickname:
  • Enter your Post

    •              
           
       
      FFUpload  Huppy Pick colour  HTML Editor  Help
      .
    •      
       
      File Attachments    Clickable Smilies    Show All
      .
  • Clickable Smilies

    • :huh:^_^:o:;):P:D:lol::B)::rolleyes:-_-<_<:)
      :wub::angry::(:unsure::wacko::blink::ph34r::alienff::cry::sick::shifty::woot:
      <3:XD:*_*:];P:XP:(:=)X):D:>.<>_<
      =_=:|:?3_3:p:;_;^U^*^^*:=/::*::b::f:
  • File Attachments

    • BlogFree Hosting   jpg gif png zip ...

      Descr.:
      Image Hosting: host it!

  •   

Last 10 Posts [ In reverse order ]

  1. Posted 21/3/2016, 09:11
    Saremo tutti d’accordo nel costatare che una delle questioni più calde all’interno del dibattito dei nostri giorni sia quella culturale. E sono altrettanto sicura che la mole di immagini, cronache, proposte risolutive, giudizi, analisi e statistiche in circolazione sull’argomento rendano quella a tema culturale, ed in particolar modo quella sullo scontro o incontro tra culture, una discussione talmente ad ampio raggio, ostica e ricca di sfaccettature o interpretazioni possibili, da convincere molti a farla morire sul nascere o ad abbandonarla scoraggiati dalla palese inesistenza di punti d’arrivo piuttosto che a prenderne parte. Per questo lo sforzo che cercherò di compiere sarà dunque quello di scindere la questione culturale da tutte le retoriche in cui si trova oggi coinvolta – quella nazionalista, populista o umanitaria – e da qualsiasi sovrastruttura la storia della nostra civiltà abbia legato ad essa – quella politica, economica o giuridica – per analizzarla solamente nella sua dimensione umana.

    Il pensiero occidentale in generale si è per anni mosso sotto la luce di teorie e miti dominanti che ne hanno irrimediabilmente condizionato l’orientamento. Si pensi all’indiscutibile autorevolezza della scienza, al paradigma dell’evoluzionismo e all’asservimento totale al progresso. Il fatto che queste luci abbiano guidato per secoli anche lo sviluppo di quelli che vengono definiti cultural studies ha portato al radicarsi all’interno del discorso sull’uomo di idee come quella che la grandissima varietà di differenze tra gli uomini sia nel tempo che nello spazio, di credenze e valori, usanze e istituzioni, sia essenzialmente insignificante per la definizione della sua natura. Il guaio con questo tipo di concezione è che l’immagine di una Natura Umana costante, indipendente da tempo, luogo e circostanze, da mode e opinioni, è un’illusione che spesso adombra pericolosamente il fatto che ciò che l’uomo è possa in realtà intrecciarsi talmente con il luogo in cui si trova, con la sua identità locale e con le sue credenze e ambizioni, da diventarne inseparabile.

    In effetti l’antropologia contemporanea è ormai abbastanza salda nell’affermare come uomini non modificati dalle usanze di luoghi particolari non solo non esistono ma non sono mai esistiti e soprattutto non potrebbero esistere. Sorge allora spontanea quella domanda che non ha mancato di tormentarci in seguito a molti noti avvenimenti recenti – dichiarazioni di guerre dell’odio, attacchi “del terrore” dietro casa, crescita dell’intolleranza verso una quotidianità multietnica vista e percepita come un calderone di violenza: come si traccia il confine tra quello che è naturale, costante e universale nell’uomo e quello che è convenzionale, locale e variabile?

    Clifford Geertz, uno dei principali osservatori dell’uomo sulla scena del ventunesimo secolo, ci rivela come non diretto da modelli culturali (sistemi organizzati di simboli significanti nonché griglie di valori per interpretare il mondo) il comportamento dell’uomo sarebbe praticamente ingovernabile e la sua esperienza informe, come cioè la cultura non sia un ornamento dell’esistenza umana ma una condizione essenziale per essa. Oggi alcune delle prove più eloquenti a sostegno di questa posizione vengono proprio dai progressi raggiunti nella nostra comprensione di ciò che si soleva chiamare origine dell’uomo: nella concezione tradizionale dei rapporti tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale, si usa pensare che quella biologica fosse stata completata in tutti i suoi aspetti prima che cominciasse quella culturale. È infatti opinione comune che l’uomo abbia avuto il suo primo approccio ad un modo di vita culturale solo una volta raggiunto uno stadio biologico prossimo a quello dell’uomo contemporaneo. In altre parole, a partire dal magico momento in cui l’umanità diffusa sulla terra indossò pellicce nei climi freddi e un perizoma in quelli caldi, fabbricò armi e cucinò certi cibi invece che altri, il suo progresso avrebbe cominciato a dipendere dall’accumulazione culturale e dalla lenta e differenziata crescita delle pratiche convenzionali, causa della frammentazione e ramificazione dell’omogeneità umana raggiunta con il mutamento organico-fisico nelle epoche passate. Il problema è che questo magico momento di svolta pare non sia mai esistito.

    Secondo la teoria scientifica corrente, l’evoluzione dell’homo sapiens iniziò quasi quattro milioni di anni fa con la comparsa dei famosi australopitechi e culminò con l’emergere dello stesso sapiens in un periodo stimato da centomila a trecento mila anni fa. Con la stessa certezza si può affermare che forme di attività culturale o protoculturale elementari fossero presenti già tra alcuni degli australopitechi. A questo punto è la matematica a suggerirci che ci fu effettivamente una sovrapposizione di forse più di un milione di anni tra l’inizio della cultura e la comparsa dell’uomo come lo conosciamo oggi: sovrapposizione che non comportò solo uno o pochi e marginali cambiamenti genetici negli ominidi ma una loro sequenza lunga e complessa. Che le fasi finali della storia filogenetica dell’uomo abbiano avuto luogo nella stessa era geologica delle fasi iniziali della sua storia culturale, significa che la cultura invece di essere aggiunta ad un animale ormai completo fu un ingrediente e il più importante nella produzione anche biologica di questo stesso animale. Per avere un idea di ciò di cui stiamo parlando basti pensare a come l’ampiamento della scatola cranica, che permise la crescita della massa celebrale, fu conseguenza della discesa delle mandibole dovuta alla predilezione tutta culturale per i cibi cotti.

    Sottomettendosi alla guida di programmi simbolicamente mediati per produrre manufatti, organizzare la vita sociale o esprimere emozioni, l’uomo determinò inconsciamente le fasi culminanti del suo destino biologico, letteralmente creò se stesso. Le recenti intuizioni a proposito dell’origine dell’uomo sono dunque le prime a far pensare che non esista una natura umana indipendente dalla cultura. Dire che noi siamo animali incompleti o non finiti, è dire che le informazioni contenute all’interno del nostro corredo bio-genetico non sono sufficienti alla nostra vita da essere umani – se crescessimo in mezzo ai lupi probabilmente non acquisiremmo la posizione eretta. Per poter essere tali abbiamo bisogno di costruire la nostra umanità attraverso l’apprendimento di altre informazioni che sono estremamente culturali tanto quanto estremamente particolari, dato che non possiamo che rubarle dal contesto particolare al quale siamo esposti dalla nascita.

    Riassumendo, gli uomini completano e perfezionano la propria umanità attraverso l’incorporazione di sistemi specifici di significato simbolico attraverso l’applicazione dei quali esprimeranno la propria forma di Essere, il loro particolare modo di pensare sé stessi, il mondo e sé stessi nel mondo. L’uomo è dunque intimamente culturale tanto quanto è costituzionalmente biologico. La cultura e la natura sono piani inscindibili che concorrono alla e si intersecano nella costruzione dell’individuo. Siamo una specie bio-culturale e ciò fa inevitabilmente della variabilità la caratteristica prima e più intima del nostro essere umani.

Review the complete topic (launches new window)

Top