Replying to Immagini per pensare

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  1. Posted 18/10/2016, 18:15
    Anche la filosofia si occupa delle immagini, spesso concentrandosi sul loro potere: esse sanno attrarre, colpire e sono immediate, non abbiamo cioè bisogno di un codice per capirle come invece accade con un alfabeto. Soprattutto, sono in grado di semplificare e rendere visibile qualcosa in tutta la sua intensità. Possono, in maniera molto più efficace del linguaggio, condensare e veicolare un messaggio in grado di imporsi significativamente al nostro intelletto e alle nostre emozioni.

    Non è un caso allora che l’edizione 2016 del Festival della Fotografia Etica rechi il sottotitolo “Quando la fotografia parla alle coscienze”. Il Gruppo Fotografico Progetto Immagine, organizzatore di questa manifestazione ormai giunta alla VII edizione e diventata imperdibile per gli appassionati di quest’arte, si pone appunto la missione di promuovere la fotografia come mezzo di informazione e di approfondimento di tematiche rilevanti dal punto di vista etico che non possono fare a meno di stimolare la riflessione. L’appuntamento è nel centro storico di Lodi, dove per 4 weekend, dall’8 al 30 Ottobre, sono esposte mostre fotografiche di altissimo livello, che è possibile conoscere meglio anche grazie a visite guidate con gli autori.

    Tra la sezioni presenti quest’anno è senz’altro da segnalare lo spazio tematico “Le vite degli altri”, che ospita diverse mostre tra cui Mitakuye Oyasin di Aaron Huey, fotografo del National Geographic. Il titolo di questo lavoro significa “tutte le mie relazioni”, frase pronunciate nelle cerimonie dalla tribù indiana degli Oglala Lakota ritratti nella riserva di Pine Ridge. Per l’autore, avere successo significa sensibilizzare e raccontare storie che il mondo ha bisogno di sentire, e le sue foto riescono indubbiamente a rendere conto non solo delle situazioni di disagio affrontate dai nativi (come l’alcolismo, piaga che affligge 8 famiglie su 10, o la sovrappopolazione), ma anche della sacralità che permea questa comunità. E così stupende immagini raccontano la loro devozione per la natura, che emerge con forza nel rituale della danza del sole, e per la famiglia, offrendo un quadro emozionante di un popolo la cui storia, segnata da profonde ingiustizie, viene troppo spesso ignorata.

    Nello spazio “Uno sguardo sul mondo” troviamo invece, tra le altre, la mostra Political Theatre di Mark Peterson, incentrata sulle elezioni americane, che si propone di mostrare i politici per quello che realmente sono. Il fotografo restituisce la concitazione e l’entusiasmo palpabili nei comizi e nei raduni sfruttando in modo molto eloquente il linguaggio del corpo. Colpiscono senz’altro i supporters di Donald Trump, tra cui vediamo bambini armati di fucile e un soggetto la cui spilla reca la scritta “I love fossil fuels” . Nella stessa sezione Magnus Wennman racconta invece il dramma dei bambini siriani con la mostra Where the Children Sleep. Uno dei soggetti, ritratti appunto mentre dormono o stanno prendendo sonno, ha detto al fotografo: ”La cosa più strana della guerra è che ti abitui ad avere paura”. E in effetti questi bambini hanno paura dei loro cuscini o si svegliano in preda al terrore di finire in mare. I loro sguardi rendono superfluo qualsiasi commento, ma c’è un dettaglio che mi ha davvero colpito: un ragazzino fuggito ad Atene dorme in un letto di fortuna in piazza Omonoia, che in greco significa “concordia”. Un beffardo e paradossale scherzo della sorte, per chi è in fuga da una guerra così rovinosa.

    Altra particolarità del Festival è lo spazio riservato ai vincitori del World.Report Award, concorso che dal 2011 premia fotoreportage sociali e documentari. Vincitore della sezione Short Story Award è Sadegh Souri, che con Waiting Girls ci rende partecipi della segregazione carceraria femminile in Iran. Qui le bambine sono ritenute responsabili per i crimini commessi a partire dai 9 anni e quelle colpevoli di reati più gravi rimangono in carcere fino ai 18, quando viene eseguita la loro condanna a morte. Le fotografie comunicano in maniera magistrale allo spettatore la sensazione di sospensione e provvisorietà che provano delle ragazze, spesso peraltro innocenti, costrette a trascorrere la loro adolescenza nell’isolamento e consce dell’assenza di un futuro dopo il carcere.

    Sono molte le altre mostre visitabili, alcune organizzate in un settore che accoglie lavori commissionati dalle ONG, oppure nello Spazio Approfondimento, quest’anno dedicato alla commovente storia di due coniugi stroncati dal tumore e fotografati dalla figlia, Nancy Borowick. Segnalo in particolare una rappresentanza toscana, il collettivo artistico di Firenze Forme Uniche con il lavoro MaL Mediterraneo: la loro idea, di grande impatto visivo ed emotivo, è stata quella di appendere fotografie degli occhi di 2736 migranti, mettendoci di fronte al dramma delle vittime non identificate di un viaggio che si rivela sempre più fatale. L’esposizione fa parte dei 37 lavori del Circuito Fuori Festival, attivo fino al 9 Novembre in diversi locali lodigiani. Inoltre, novità di quest’anno, grazie all’iniziativa Travelling Festival diverse mostre raggiungeranno altre città d’Italia.
    Per tutte le ulteriori informazioni sul Festival, nonché per conoscere le tappe previste di questo nuovo progetto, l’invito è a visitare il sito www.festivaldellafotografiaetica.it .

    Pensare, riflettere, venire a contatto con situazioni estreme ma che si rivelano parte integrante della quotidianità altrui, porsi per mezzo di bellissime fotografie domande di grande rilievo morale: sono questi gli scopi e i punti di forza del Festival. Non potrà lasciarvi indifferenti.

    Giulia Cantamessi


    Clicca per ingrandire le foto


    Foto 1: © Aaron Huey
    Foto 2: © Mark Peterson
    Foto 3: © Magnus Wennman
    Foto 4: © Sadegh Souri

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