Replying to Fra Tarantino e Seneca

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  1. Posted 2/8/2016, 17:59
    Se tracciando una rapida panoramica della storia del teatro e del cinema si dovessero individuare particolari momenti di svolta e di innovazione, due fra le tappe fondamentali sarebbero inevitabilmente le tragedie di Seneca e le pellicole di Tarantino. Nonostante le abissali differenze fra questi due colossi dell'azione scenica (dalle culture di riferimento, fino alla sostanziale differenza fra teatro e cinema) è infatti possibile notare dei tratti comuni a entrambi. Lette nel quadro storico e nel contesto operativo dei relativi autori non si possono non scorgere, sotto innumerevoli tratti, paradigmi che si ripetono, fra i quali primeggiano la violenza quasi tattile che trasuda dalla "messa in scena" e la visione di un mondo cupo, dominato da insormontabili forze del male.

    Il filosofo romano rompe infatti drasticamente con la tradizione teatrale, che la società romana aveva ereditato dalla cultura greca.
    Uno fra i grandi precetti del teatro greco era infatti quello di evitare nella maniera più assoluta la rappresentazione di scene cruente. I tragediografi riuscivano comunque a non rompere il filo narrativo della vicenda, tratta dai vari repertori mitologici (ricchissimi di scene violente), semplicemente facendo raccontare la scena "incriminata" da un personaggio, riuscendo così a non urtare la vista degli spettatori e relegando tutta la cruenza della scena alla loro immaginazione. Seneca rifiuta questo meccanismo e non esita a mettere in scena, direttamente sotto gli occhi degli spettatori, scene sanguinolente e disturbanti. Lungi dal trattarsi semplicemente dell'infrangimento del "buongusto", in questa radicale innovazione lo stoico vuole lanciare un messaggio diretto e penetrante. Come già aveva osservato Aristotele nella Poetica, la forza tragica di un testo emerge con molta più violenza dalla sua rappresentazione, rispetto alla sua sola lettura; questo accade perché la rappresentazione va a colpire direttamente i sensi dell'uomo, via privilegiata della sua conoscenza. Seneca sembra quasi mettere in pratica questa considerazione con lo scopo di riuscire a "segnare" maggiormente gli spettatori. Questa drastica rottura con i canoni estetici tradizionali ha portato addirittura molti critici a vedere le tragedie senecane come destinate alla sola lettura ma di questo dibattito non è il caso di parlare nel nostro contesto. Al lettore basti ricordare che NON si tratta assolutamente di posizioni universalmente riconosciute dagli specialisti.

    Venendo a Tarantino, egli, a differenza di Seneca, non si muove in un ambito estraneo alla rappresentazione di scene cruente; i grandi successi del regista cominciano infatti a partire dagli anni novanta, quando il mondo cinematografico era ormai già passato attraverso le più varie generazioni di thriller e horror famosi per la loro cruenza, spesso alle soglie della ‘pacchianità’. L'innovazione di Tarantino consiste dunque non tanto nella scelta della rappresentazione esplicita di violenza e truculenza, contrariamente al filosofo romano, per quanto sia un tratto comune relativo a entrambi. Per capire l'innovazione della cruenza "tarantiniana" bisogna dunque scavare più a fondo ed andare a relazionarla con le trame delle sue pellicole, mostrando così il secondo nesso comune fra i due autori, ossia la rappresentazione di un mondo cupo e oscuro, mosso da cieche forze del male.

    È infatti tramite l'ambientazione in mondi malvagi e oscuri, che le scene di violenza si caricano di significato (soprattutto per Tarantino). Nelle tragedie del filosofo è un'atmosfera cupa e folle a regnare sovrana, molti suoi personaggi, spesso accecati dalla follia della malvagità e mossi da istinti primordiali e ciechi, sono allo stesso tempo causa e conseguenza del mondo corrotto in cui si contestualizzano. Celebre esempio è quello di Fedra nell'omonima tragedia; la donna, mossa dall'amore incestuoso verso il figliastro, tenta inizialmente di frenarsi ma incapace di opporsi alle proprie passioni si dichiarerà ed in seguito al rifiuto del figliastro, lo porterà alla morte. Per Tarantino la questione non è certo diversa; dalla claustrofobica atmosfera di Hateful Eight (in cui predomina il bianco asettico della neve), fino agli sgargianti colori di Kill Bill, vengono plasmati personaggi che, in perfetto accordo col mondo in cui si sono ritrovati (specialmente nel primo caso) o trasformati da esso (come succede a Beatrix nel secondo caso), sono dominati da una potenza implacabile che arriva ad infrangere le leggi della natura, quasi a voler mostrare come nemmeno le regole della realtà possano nulla contro questi "prodigi" dell'oscurità. In tutto questo, gli spettacoli di violenza cruda, ma non fine a se stessa, mostrano come i corpi degli uomini si trasformino in pura materia privata di ogni dignità umana; sia che si parli di Teseo che tenta invano di ricostruire il corpo smembrato e macellato del figlio, scandito dai lamenti del coro, sia per quanto riguarda le lotte dei mandingo in Django Unchained.

    Seneca e Tarantino, profondi conoscitori delle più nascoste chimere dell'animo umano ci mostrano un'esistenza priva di regole e freni inibitori, dove le forze proibite dell'uomo sembrano danzare, con risultati quasi estetici, nella cruda violenza e nella distruzione. Che questo modo di fare arte piaccia o non piaccia, è innegabile che esso ci metta concretamente di fronte ai nostri lati nascosti e alle nostre perversioni più intime, mostrandoci una realtà in cui essi riescono a rompere i confini dell'inibizione e a riversarsi sul mondo.


    Tommaso Ghezzani

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