Replying to Il Regno (dis)Unito tra Brexit e Bremain

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  1. Posted 3/7/2016, 18:43
    «Ho votato "Leave" e non so davvero cosa ho fatto, sono sotto shock, adesso mi sento in colpa. Non credevo il mio voto contribuisse a questo cambiamento.», dichiara un cittadino britannico di fronte alla telecamera di un giornalista, affermazione che ci consente di svelare un aspetto agghiacciante di questo referendum. E' stato il Washington Post a riportare una notizia alquanto preoccupante: il motore di ricerca Google ha riferito che la domanda maggiormente posta a poche ore dal termine delle votazioni è stata: "Cosa succede se il Regno Unito lascia l'Ue?" , seguita da "Cosa è l'Unione europea?" Inconsapevolezza e disinformazione si celano dietro ai risultati di queste votazioni, perché se è vero che la campagna per la Brexit è stata una tra le più contrastanti di sempre, è anche vero che resta dovere fondamentale del cittadino impegnarsi in prima persona per avere un'informazione corretta spingendosi oltre il muro creato dalla confusione mediatica. Si è trattato, infatti, di una campagna volta ad abbindolare i votanti inglesi: è sufficiente pensare ai famigerati 350 milioni di sterline di cui ha parlato Nigel Farage, leader dello Ukip, versati ogni settimana nelle casse comunitarie che, nel caso di uscita dall'Ue, sarebbero stati investiti nella sanità inglese, o alle false ed ingigantite quote di immigrati presenti sul territorio nazionale. Bella figura quella fatta dai britannici, è il caso di dire #thanksmrGoogle.

    "We want our country back", rivogliamo il nostro Paese: questo era lo slogan che politici conservatori ed euroscettici hanno sostenuto durante la campagna per la Brexit. "Riprendiamoci i nostri confini", frase che forse suona strana se si considera il maggior successo riscontrato dalla campagna a favore dell'isolamento nelle zone con minor numero di immigrati, ovvero quelle operaie e industrializzate del Nordest. E' ovvio che, dietro alla vittoria strappata del "Leave", si cela anche la campagna razzista portata avanti dai partiti conservatori; campagna a cui non hanno creduto coloro che vivono fianco a fianco con persone che le barriere le hanno oltrepassate, e non erette. E' da considerare che, nelle aree in cui ha trionfato il "Remain", tale vittoria sia dovuta anche alla presenza di stranieri che hanno ottenuto il diritto di voto, ma resta il fatto che la tendenza all'isolamento è minore nelle zone in cui si ha una società multietnica, come ha evidenziato lo studio di The Guardian. Tale risultato è dovuto forse al fatto che il fenomeno dell'immigrazione risulta sì ovviamente scomodo da gestire per le istituzioni e le autorità, ma che probabilmente in un Paese come il Regno Unito, gli stranieri costituiscono parte integrante della società e del carattere stesso di tale realtà, e non un nemico da allontanare attraverso una misura drastica come l'uscita dall'Unione Europea.

    In questi giorni post-Brexit, si è parlato anche di "tradimento generazionale". Le analisi del voto hanno evidenziato che sarebbero stati principalmente gli over 65 a votare per il "Leave", mentre i giovani per il "Remain". Gli anziani avrebbero fatto una scelta di cui non si ritroverebbero a pagare le conseguenze, che ricadrebbero invece su coloro che erano intenzionati a rimanere nell'Ue. Il gruppo tra i 18 e i 24 anni è stato, però, quello con il concorso minore, pari al 36%, mentre si parla dell'81% per coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni e 83% per gli over 65: giusto qualche numero per capire che è facile nascondersi dietro l'accusa di tradimento generazionale se solo il 36% dei giovani, i presunti diretti interessati delle conseguenze del referendum, si sono presi la responsabilità di decidere sulla questione Brexit, i cui dati dell'affluenza risultano addirittura inferiori alle elezioni politiche nel Regno Unito del 2015, pari al 43%. Non è certo una novità quella del disinteresse dei giovani verso la situazione politica del proprio Paese, ma dietro alle loro attuali proteste e alla petizione lanciata per ottenere un altro referendum per cambiare le sorti della Gran Bretagna c'è traccia dell'ipocrisia degli indignati a causa della decisione del popolo di lasciare l'Ue, gli stessi indignati che forse il 23 giugno non hanno nemmeno avuto interesse ad esprimere il proprio parere al riguardo.

    Farage ha definito questo 23 giugno come un "independence day", ma per un tale commento sarà necessario aspettare le conseguenze a lungo termine della decisione dei cittadini del Regno Unito. Tutto il mondo rivolge loro il suo sguardo per scoprire cosa succederà in seguito ai risultati tanto poco prevedibili quanto poco incoraggianti di questo referendum, che ha diviso in due il Paese da ogni prospettiva, Paese che non si rivela così unito quanto comunemente creduto.


    Lavinia Peluso


    Leggi anche: Bye Bye UK!

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