Replying to Referendum: si vota per l'ambiente?

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  1. Posted 13/4/2016, 16:32
    Come avremmo ormai tutti avuto modo di prendere atto, i cittadini italiani sono davanti ad un referendum e si troveranno presto alle prese con un SI o con un No da dover spuntare per poter esprimere la loro posizione. Il prossimo 17 aprile si vota pro o contro un’ulteriore limitazione delle attività estrattive presso le nostre coste e da qualche mese a questa parte numerose e caotiche sono state le retoriche e le teorie propinate sul pianeta informazione in difesa dell’una o dell’altra causa. Per un po’ di chiarezza su uno degli aspetti più dubbi e discussi, quello ambientale, ci siamo rivolti a due esperti che hanno in breve risposto alle nostre domande. Quelle che vi proponiamo sono le parole di Francesco Regoli, professore e ricercatore (Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente presso l’Università Politecnica delle Marche) e Anna De Biasi, ricercatrice CIBM (Consorzio per il Centro Interuniversitario di Biologia Marina di Livorno ).

    Salve, prima di tutto permettetemi di ringraziarvi per la vostra disponibilità. Veniamo al dunque, in quale zona e quante sono in particolare le piattaforme nel cui monitoraggio è impegnato il vostro istituto? Che cosa esattamente siete chiamati a “controllare”? Quali sono i parametri?

    Dott.ssa De Biasi: Il nostro centro attualmente si occupa del monitoraggio dei sedimenti marini circostanti diverse piattaforme dell’Adriatico centrale e il nostro contributo si inserisce in progetti che prendono in considerazione varie componenti dell’ambiente marino. In particolare i piani di monitoraggio prevedono indagini fisico-chimiche dei sedimenti e studi sui popolamenti che in essi vivono. La valutazione dello stato ambientale viene condotta anche tramite test ecotossicologici finalizzati a valutare se i sedimenti risultano tossici per gli organismi viventi. Per quanto riguarda il set analitico, i piani di monitoraggio prevedono la determinazione di metalli pesanti (presenti nei fanghi di perforazione) e di idrocarburi (che spesso incrementano più a carico dell’aumento del traffico marittimo, che delle attività estrattive).

    Professor Regoli: Negli ultimi dieci anni, ci siamo occupati di monitorare l’impatto causato dalle attività di numerose piattaforme posizionate nel mare Adriatico e di alcune nel Mare del Nord. Le attività hanno prevalentemente riguardato la caratterizzazione della presenza di inquinanti chimici nei sedimenti circostanti la piattaforma, e l’analisi degli impatti biologici tramite l’utilizzo di organismi bioindicatori. Si tratta in questo caso di organismi, prevalentemente mitili o pesci bentonici stanziali, che vengono raccolti nell’area di indagine o trapiantati (nel caso dei mitili) per periodi di circa 4 settimane sui piloni della piattaforma. Su questi organismi viene analizzato il bio-accumulo di inquinanti per capire quanto le sostanze eventualmente presenti nell’ambiente possano essere trasferibili al biota; inoltre, un’ampia batteria di analisi a livello molecolare e cellulare permette di evidenziare i primi effetti o campanelli di allarme di un disturbo ambientale che potrebbero portare ad una compromissione dello stato di salute degli organismi.


    In breve, che cos’è e come funziona una trivella?

    Dott.ssa De Biasi: Non conosco gli aspetti ingegneristici. So solo che contrariamente ad altri paesi, noi usiamo fanghi a base d’acqua che sono molto meno inquinanti rispetto a quelli a base d’oli o lubrificanti sintetici. I fanghi di trivellazione comunque contengono molti metalli in percentuali variabili da caso a caso.

    Professor Regoli: Le piattaforme in funzione estraggono idrocarburi (liquidi o gassosi) da giacimenti in cui tali composti si trovano all’interno di sacche geologiche insieme ad acqua che viene definita “di formazione”. L’estrazione avviene perforando queste sacche e sfruttando la pressione per far salire tali composti e l’acqua di formazione fino alla superficie. Per mantenere la pressione nel giacimento necessaria per far risalire in superficie gli idrocarburi, durante l’estrazione le compagnie iniettano nuova acqua nel giacimento.


    Quali sono o possono essere le conseguenze sull’ecosistema terra-mare, sull’inquinamento di acqua, sulla tutela della biodiversità e della pesca? C’è una particolare fase critica dell’attività che è più invasiva e dannosa di altre?

    Dott.ssa De Biasi: La fase di trivellazione e la installazione delle piattaforme estrattive è quella più dannosa in quanto a seguito delle perforazioni e dell’uso dei fanghi di perforazione vengono immessi nell’ambiente metalli pesanti che in alcuni casi possono raggiungere concentrazioni elevate. Naturalmente gli effetti sono più facilmente visibili nei sedimenti rispetto alle acque. I primi infatti rappresentano un comparto conservativo ossia in grado di conservare nel tempo le tracce di quanto accaduto al contrario dell’acqua che continuamente sottoposta a movimento non rivela indicazioni specifiche a lungo termine. Gli effetti misurati nei sedimenti vanno riducendosi gradualmente nel tempo e nella maggior parte dei casi non sono più visibili dopo tre anni dal termine delle installazioni. Gli effetti naturalmente cambiano a seconda delle condizioni originarie dell’area. Ad esempio sedimenti pelitici accumulano maggiormente contaminanti rispetto alle sabbie. Anche il regime idrodinamico dell’area rappresenta un altro fattore importante che condiziona i tassi di sedimentazione e quindi di accumulo di contaminanti. Per quanto riguarda quegli organismi che sono sedentari o sessili (che vivono adesi al substrato) gli effetti sono visibili nelle immediate vicinanze delle strutture. Dopo una fase iniziale di impoverimento delle comunità si assiste alla colonizzazione di specie ad affinità di substrati duri e un generale arricchimento del popolamento. Questa deriva è dovuta principalmente alla caduta sul fondo dei mitili che colonizzano i piloni delle piattaforme. Alla base di queste pertanto si crea un ambiente nuovo e differente da quello tipico dell’area circonstante. Queste variazioni vengono osservate entro poche decine di metri delle struttura. Per quanto riguarda le risorse ittiche le piattaforme hanno un effetto attrattivo per molte specie. Secondo alcuni autori le strutture rappresentano un punto di riferimento visivo per alcune specie, effetto che risulta particolarmente evidente durante le fasi di installazione. Successivamente anche fattori come maggiore protezione, maggior disponibilità di cibo concorrono al richiamo di altre specie ittiche.

    Professor Regoli: Le fasi di prospezione hanno impatti e possibili conseguenze che sono diverse rispetto a quelle che possono verificarsi durante la fase di produzione, e queste sono a loro volta diverse da quelle che ci si aspetta in fase di dismissione di una piattaforma. Durante la fase di produzione, gli impatti previsti possono derivare, oltre che dalle attività e dalla presenza di imbarcazioni intorno alla piattaforma, dall’eventuale scarico in mare delle acque di produzione. Alcune compagnie portano tali acque a terra, altre richiedono un’autorizzazione per lo scarico in mare e devono presentare un programma di monitoraggio per escludere possibili impatti. Ad oggi, lo scarico in mare delle acque di produzione non ha evidenziato particolari problemi di natura ambientale, sia nel breve che nel lungo termine; tali indagini sono risultate molto approfondite soprattutto nel Mare del Nord, ma anche in Mediterraneo non vi sono indicazioni diverse. In generale, l’impatto delle piattaforme è risultato fino ad oggi piuttosto limitato, assai meno evidente rispetto a quello di molte altre attività antropiche che insistono sulle nostre coste o nel nostro mare. Tuttavia, come impianto industriale, ha un insito rischio legato a possibili incidenti: sebbene fino ad oggi non si siano verificati, forse maggior attenzione dovrebbe essere posta a come rapidamente intervenire per prevenire un disastro ambientale nel caso di una simile eventualità.


    Siamo davanti ad un referendum, il parere dell’esperto sulla questione?

    Dott.ssa De Biasi: Come parere personale penso che in termini di contaminazione e modifiche dei popolamenti, queste attività siano sostenibili. Al contrario i problemi (i più gravi per questo nessuno ne parla) sono legati alla subsidenza ossia al progressivo sprofondamento del fondo del bacino. Questo aspetto comporta profonde modifiche nell’assetto costiero. Alcuni esperti non escludono l’esistenza di relazioni tra terremoti locali ed estrazioni. Diversamente non ci sono forti rischi di esplosioni. L’ultima risale a oltre cinquant’anni fa.

    Professor Regoli: Se ne facciamo una questione di scelta energetica o di valutazioni turistiche per un territorio, ognuno ha la sua libertà di pensiero. Se invece ne facciamo una questione di protezione ambientale, facciamo attenzione alle strumentalizzazioni. Trattandosi di piattaforme che già sono in funzione, l’impatto della fase di prospezione e perforazione c’è già stato. Quello della fase di estrazione, non è mai risultato particolarmente elevato: ma soprattutto abbiamo a livello nazionale la possibilità di effettuare monitoraggi molto approfonditi e sensibili per evitare che si possano verificare fenomeni di degrado ambientale (che nessuno vuole) o segnalare tempestivamente possibili problemi legati a malfunzionamenti o incidenti.

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