Replying to Trivelle e referendum: consigli per questo 17 aprile

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  1. Posted 10/4/2016, 18:27
    Come già scritto e discusso ampiamente, il contributo che i cittadini saranno in grado di/ tenuti a fornire con il proprio voto alle urne il 17 aprile è di rilevante importanza: grazie ad esso, infatti, il cittadino potrà abrogare, votando per il "sì'", una parte della norma riguardante le trivellazioni situate entro le 12 miglia dalla costa italiana, permettendo una graduale cessazione delle attività di estrazione di gas naturale e petrolio.

    Il referendum in questione riguarda esclusivamente le piattaforme che sono state costruite, prima dell'abolizione di tale permesso, entro e non oltre le 12 miglia dalla costa. Parliamo dunque di 92 delle 135 piattaforme situate nel Mar Adriatico e nel Mar Ionio, la maggioranza, le cui concessioni scadrebbero, votando per il "Sì", tra il 2018 e il 2034. Dopodiché si procederebbe al totale smantellamento di tali trivelle. In caso contrario, ovvero senza il raggiungimento del quorum e con la conseguente vincita del "NO", le società petrolifere interessate ricorrerebbero alla prorogabilità di queste concessioni, allungando in tal modo i tempi di estrazione, fino al completo sfruttamento e alla totale asportazione del gas naturale e del petrolio presenti nei giacimenti.

    Se si prova a dare un'occhiata alla quantità di informazioni che qualsivoglia piattaforma informatica fornisce al lettore, ci si renderà immediatamente conto della complessità dell'argomento, delle miriadi di sfaccettature che una tale questione può avere e degli innumerevoli interrogativi che può innescare: la chiusura delle trivelle aggraverà il problema della disoccupazione? Le piattaforme inquinano? Esiste e quanto è alto il rischio di un disastro ambientale dovuto alle trivelle esistenti e alla creazione di nuove? Quali saranno gli effetti di questo referendum? Insomma, cosa conviene davvero fare?

    Nei prossimi paragrafi si cercherà di analizzare alcune delle questioni cardine, cercando di mantenere uno sguardo oggettivo e imparziale.

    1. Lavoro e disoccupazione

    Risulta palese che, se mettiamo in gioco parole quali "smantellamento" e "chiusura delle trivelle", settore che ha un fatturato annuo di oltre 20 miliardi di euro e circa 10 mila posti lavoro a carico, una delle domande più immediate riguardi la cancellazione di posti lavoro che una tale azione comporterebbe. Tuttavia, si deve tener ben presente che, innanzitutto, un simile processo non si attuerebbe nel giro di giorni o mesi, bensì di anni: la prima chiusura, come già accennato, si avrebbe infatti solo nel 2018. Lo smantellamento dunque non riguarda il presente, ma posti futuri la cui permanenza dipenderebbe in ogni caso dalla quantità di gas presente nei giacimenti, e quindi dalla loro finita e ormai scarsa capacità volumetrica.

    In secondo luogo, se da una parte si andranno ad eliminare posti lavoro in un settore che dipende dai combustibili fossili, la necessità di ricavare energia avvicinerebbe il Paese a tutt'altre fonti per ottenerla, rinnovabili e "green", permettendo così la creazione di nuovi posti lavoro.

    2. Inquinamento: il territorio, l'impatto ambientale e la biodiversità

    Come primo punto, bisogna aver chiaro che l'estrazione di gas naturale e petrolio comporta necessariamente l'utilizzo di sostanze chimiche, il cui contatto con l'ambiente marino circostante provocherebbe danni irreparabili all'ecosistema acquatico e alla biodiversità che il nostro mare vanta a livello mondiale. Si tratta di procedimenti sorvegliati e sotto il controllo perenne delle aziende, le quali negli ultimi anni sono riusciti a sviluppare tecnologie mirate al rispetto dell'ambiente. Il rischio di una fuoriuscita di greggio, metalli pesanti e altri contaminanti non si può dunque considerare altissimo, ma è anche vero che incidenti simili sono già accaduti in passato, in Italia come all'estero. Sebbene poi i rifiuti vengano riportati a terra per il loro smaltimento, quest'ultimo non è a impatto ambientale zero.

    Successivamente, consideriamo che, votando per il "NO", le società petrolifere interessate saranno libere di costruire nuove piattaforme ed aprire nuovi pozzi finché l'estrazione, per cui pagano ben poco data la cifra irrisoria delle royalties che sono tenuti a sborsare, "conviene". Va da sé che maggiore è il numero delle piattaforme, maggiore sarà anche il rischio di una perdita di materiale inquinante, incidenti non così improbabili.

    Inoltre, a chi ritenga ancora che le estrazioni di gas e petrolio non provochino una contaminazione delle acque e degli esseri che le abitano, basti sapere che una ricerca portata avanti da Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) per l'Eni, e recuperata da Greenpeace, dimostra come i campioni di cozze, prelevati nelle vicinanze di 43 delle piattaforme dei nostri mari, riscontrino all'86% una concentrazione di mercurio superiore al limite consentito, concentrazione che non può assolutamente definirsi "innocua".

    Un altro fattore ambientale da tener presente è la subsidenza, ovvero il lento e progressivo sprofondamento del fondale marino, fenomeno che sta già interessando l'alto Adriatico e che ricerche hanno dimostrato essere connesso anche alle estrazioni di gas in mare. Nell'arco di poco più di 20 anni, si è infatti riscontrato un abbassamento di oltre due metri di profondità, dovuto anche al cambio di pressione delle riserve sotterranee in seguito all'estrazione del gas.

    3. La necessità di un'Italia più "green"

    La finita capacità dei giacimenti di gas naturale e petrolio è e non può non essere considerata uno dei problemi che più devono interessare l'essere umano della nostra epoca. Perpetuare il fossile e un'economia che mira solo alla produzione e al consumo, senza curarsi del prodotto e delle conseguenze ambientali che tali processi comportano, è solo un rimandare la questione, accantonare il problema finché i gravi disordini ambientali che già affliggono il nostro Pianeta non si aggraveranno.

    Se da una parte l'Italia si è impegnata negli ultimi anni a raggiungere la percentuale dettata dall'Unione Europea di energia ricavata secondo metodi che rispettano l'ambiente, superando dello 0.3% nel 2015 il 17% da raggiungere entro il 2020, dall'altra paesi come la Svezia sono riusciti a ricavare più del 50% della propria energia da fonti rinnovabili. Il gas e il petrolio estratti in Italia, e quindi non importati, nel 2015 hanno rappresentato rispettivamente il 28,1% e il 10% del gas e del petrolio utilizzati dai cittadini italiani: i combustibili che invece interessano prettamente le trivelle entro le 12 miglia, hanno rappresentato il 3-4% e l'1%. Pensare che il problema dell'inquinamento al momento della vincita del "Sì" non sarebbe comunque risolto perché si renderebbe necessario a quel punto un aumento delle importazioni, e quindi un aumento dell'inquinamento e del traffico nei porti, è un ragionamento che non tiene conto di due punti:

    1) il gas attualmente importato in Italia viene distribuito mediante l'utilizzo di 5 metanodotti, mentre solo il 7% viene trasportato da navi metaniere sotto forma di gas liquefatto; in ogni caso, la stessa creazione di nuove piattaforme comporterebbe un aumento del traffico portuale, indi dell'inquinamento;

    2) quel 3-4% di gas e 1% di petrolio del totale fabbisogno annuo italiano potrebbero essere compensati sfruttando energia pulita, puntando sul rinnovabile e sull'efficienza energetica, permettendo inoltre la creazione di nuovi posti lavoro.

    In conclusione, dobbiamo renderci conto della necessità di cambiare rotta, dell'insensatezza di continuare a dipendere dai combustibili fossili quando il mondo si sta avviando verso la direzione contraria. Votare "Sì" questo 17 aprile rappresenterebbe un passo, seppur piccolo, diretto e mirato al cambiamento, un aiuto a questa economia lineare per virare verso una "bio-economia", che tenga conto non solo delle necessità dell'Uomo, ma del bisogno e agendo nel rispetto del Pianeta in cui vive.

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