Replying to M = QI + E

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  1. Posted 7/4/2016, 11:38
    Ci sono vari tipi di intelligenza, dipende.
    Ognuno è dotato di alcune potenzialità, c'è un intelligenza logica, ne esiste una emotiva.
    Non sono nessuno per dire chi è intelligente e chi stupido, dico appunto che tutti hanno diritto alla possibilità di sviluppare le proprie capacità.
  2. Posted 6/4/2016, 09:15
    La meritocrazia e il divario sociale ti hanno spinto a scrivere questo articolo, se non ci fossero stati probabilmente non avresti avuto lo stimolo a studiare.
    Poniamo l'assenza di una meritocrazia, poniamo una vera uguaglianza, gli intelligenti in cosa differiscono con gli stupidi?
  3. Posted 21/3/2016, 14:53
    Il termine “meritocrazia” fu usato per la prima volta dal sociologo britannico Micheal Young, che
    sintetizzò il concetto di governo del merito nella formula M = QI + E ( Merit = QI + Effort ).
    In origine con “meritocrazia” si intendeva una forma di governo dispotico responsabile della
    formazione di una classe sociale dominante, costituita appunto da individui particolarmente capaci
    secondo la valutazione del rispettivo quoziente intellettivo e dello sforzo impiegato nel dedicarsi ad
    un certo tipo di lavoro.
    Anche se negli anni il termine ha sovente acquistato una connotazione positiva, è opportuno
    ricordarne il concepimento e la nascita per distinguere lucidamente tra pari opportunità e
    discriminazione.
    Young nel 1958 pubblicò un vero e proprio romanzo dispotico in cui illustra dettagliatamente come
    il regime meritocratico (proiettato nel futuro) si è affermato negli anni, le conseguenze sociali e la
    sua decadenza grazie ai moti rivoluzionari dei cittadini del 2033. L’eredità che proviene da “The
    Rise of Meritocracy” è più che mai spendibile nella società odierna, dopotutto la politica
    meritocratica è uno dei miti più invocati e sbandierati del nostro tempo.
    Sono in molti a credere che un sistema meritocratico sia una buona base sociale per più giustizia e
    più produttività rispetto ad altri sistemi, infatti già con John Locke e Thomas Jefferson si parla di
    meritocrazia : del concetto di proprietà acquisito attraverso lo sforzo per il primo, di merito e
    operosità come basi del sistema repubblicano americano per il secondo. In sostanza un genio
    pigro non è un genio.


    Tuttavia le riflessioni sul merito tendono a caratterizzare la contemporaneità più delle epoche
    passate, addirittura per l’anarchico Bakunin dopo il dominio del capitale viene quello
    dell’informazione detenuta dai più scaltri.
    Sempre secondo il sociologo Young, la meritocrazia si sostituisce alle vecchie ideologie politiche
    che hanno cavalcato il XX secolo, proponendosi come paradigma del dominio contemporaneo.
    Niente supremazia della razza ariana, nessuna avanguardia del proletariato, bensì un aristocrazia
    dell’ingegno: chi sa di più domina su chi sa di meno.
    Con il principio del merito che entra a far parte del senso comune degli individui, si forma anche il
    principio di legittimazione del potere della classe privilegiata di cervelloni: questo significa che chi è
    in basso è convinto di meritarlo, poiché c’è un criterio scientifico a dimostrarlo.
    La meritocrazia diviene con facilità la giustificazione del divario sociale, in modo legale e
    socialmente accettato; infatti, se il criterio di valutazione del valore è scientifico e calcolabile, gli
    “stupidi” non possono dire di essere trattati da inferiori, perché di fatto lo sono.
    Anche se la distribuzione di ricompense diviene fortemente ineguale, il conflitto è quasi in
    esistente, poiché l’inferiore può prendersela solo con se stesso per la sua inefficienza, chi è sopra
    di lui lo merita.
    A questo punto è chiaro chi merita il merito e attraverso quali criteri, ma in che modo questo
    meccanismo prende forma ?
    Ebbene, se il merito implica una valutazione e un giudizio, non poteva palesarsi in nessun altro
    luogo meglio che a scuola, l’ istituzione che imprime l’insegnamento necessario per utilizzare i
    bisogni e le risorse della nazione.
    Precludendo opportunità e privilegiando valori e intelligenze standardizzate, la scuola forma una
    selezione sociale: sopravvengono scuole di serie A e serie B, figli di laureati destinati a laurearsi a
    loro volta, figli di ricchi destinati ad arricchirsi a loro volta, c’è il rischio di sprecare delle intelligenze, creando infelicità.
    Addirittura spesso si tende a svalutare il lavoro manuale rispetto a quello mentale, o a fare il
    contrario come prevedono alcune dottrine marxiste, tutto ciò senza tener conto che i bambini sono
    una combinazione di facoltà che possono essere coltivate mediante l’educazione: ogni bambino è
    un individuo prezioso, e non soltanto un potenziale funzionario.
    La maggior parte delle persone intelligenti vuole farsi strada nel mondo, questi individui possono
    riuscire tranquillamente nei loro intenti senza impedire a nessuno di essere nutrito dalle idee,
    mettendo a disposizione di tutti la diffusione del meglio di quanto è stato pensato e capito nel
    mondo.


    La democrazia deve essere intesa come governo del popolo, non come governo della parte
    intelligente del popolo, di un elite.
    Meritocrazia e uguaglianza non sono la stessa cosa, infatti uguaglianza di opportunità significa essere ineguali e incoraggiare il pluralismo di valori.
    Probabilmente l’unico grande svantaggio che abbiamo è di essere in molti, e non trovarci più con i
    canoni che hanno sempre caratterizzato la democrazia: molti grandi giuristi contemporanei
    ridimensionano infatti il concetto di sovranità popolare democratico. Non avere questa sicurezza ci
    rende inclini alle degenerazioni senza guardare in faccia al nostro vicino svantaggiato, basta
    considerarlo più “stupido”.
    Nel momento di difficoltà, di fronte a un cambiamento, si torna indietro ad una sorta di aristocrazia,
    la cosa più immediata per preservarci e farci valere nella nuvola grigia della concorrenza. In questo modo l’uomo intelligente cerca di realizzarsi e prevaricare gli altri per la caratteristica in cui sa di spiccare, trovandosi finalmente al sicuro.
    Il potere dell’uomo intelligente sta nell’utilizzare le proprie risorse affinché queste promuovano lo
    sviluppo della società e delle conoscenze, per affievolire sempre più il divario sociale, poiché il
    progresso reale si attua elevando tutti gli individui. Investire solo su una parte porta un progresso
    parziale e instabile.
    E’ fondamentale sviluppare i talenti, le virtù, le capacità di comprendere la bellezza e la profondità
    dell’esperienza umana; una misura matematica non può impedire ad un individuo di vivere una vita
    ricca.


    Giulia Bernacchi

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